«Dai miei studi sono convinto che riusciremo in un’impresa impossibile per ogni altra nazione. Questo piano, degno di voi e del Gun Club, non potrà fare a meno di sollevare gran rumore nel mondo.
Molto rumore? Chiese un artigliere appassionato.
Molto rumore nel vero senso della parola. Rispose Barbicane».
Quando il centro Nasa di Houston comunicò al mondo che nell’estate del 1969 due suoi astronauti – Neil Armstrong ed Edwin Aldrin – avrebbero toccato il suolo lunare, a molti nostri connazionali tornarono alla mente le pagine scritte de Jules Verne più di un secolo prima, nel suo libro Dalla terra alla luna (De la Terre à la Lune. Trajet direct en 97 heures 20 minutes, Hetzel, Paris 1865) uno dei must dei giovani e degli adolescenti del Novecento, cresciuti nel mito del progresso e della conquista dell’ignoto.
Mentre sulle nostre spiagge risuonavano le canzoni di due giovani campani, Lisa dagli occhi blu di Mario Tessuto e Rose rosse per te, di un diciottenne dei quartieri spagnoli, Massimo Ranieri, l’emozione e l’attesa crescevano in tutto il Paese.
Quando venne comunicata da oltreoceano la data dello sbarco – 20 luglio – partì la corsa di giornali e tg nel prepararsi all’evento del secolo.
Quotidiani e periodici fecero a gara nel raccontare, nel dettaglio, i retroscena sia dell’ultima missione americana sulla Luna, quella di Apollo 10 (che aveva fotografato e filmato per la prima volta la superficie lunare) sia quella che Apollo 11 si apprestava a compiere.
Le vite dei due uomini incaricati di “passeggiare” sul suolo lunare furono vivisezionate da tutti i media del mondo.
Un mese prima dell’allunaggio, al centro di Houston fu il momento delle prove generali. Avvolti da scafandri praticamente identici a quelli delle illustrazioni dei libri di Verne ed armati di telecamere e sofisticate pale lunari, gli astronauti provarono a muoversi come se fossero già sul nostro satellite.
Prima di partire erano già due star. Il 10 giugno del 1969, l’inviato a Houston della “Domenica del Corriere”, Franco Goy, dopo aver assistito alla simulazione dello sbarco, scriveva così: «Ho visto il primo uomo sbarcare sulla luna. È nato a Wapakoneta, nell’Ohio, 39 anni or sono. Alto un metro e 78 centimetri, biondo con gli occhi azzurri, è ammogliato e ha due figli, Eric di 12 anni e Mark di 6. Appassionato di aeromodellistica fin dall’infanzia, dal 1949 al 1952 ha prestato servizio come pilota della Marina, combattendo in Corea. Si chiama Neil Armstrong. Un nome che ricorderemo».
Sullo stesso numero vennero pubblicate le immagini della Terra e della Luna fotografate dall’Apollo 10, con questa didascalia: «La somma di due prodigi. Un secondo prodigio dopo l’impresa di Apollo 10 s’è avverato: milioni di spettatori dei Paesi con la tv a colori hanno potuto godersi lo spettacolo fantasmagorico delle albe e dei tramonti della Luna e della Terra».
Eh già, perché quel che oggi sembra normale, 50 anni fa restava un sogno. Anche quello della televisione a colori, che era una realtà soltanto per i Paesi anglosassoni.
Intanto, i giorni passavano e la febbre saliva. Fino a quel fatidico 20 luglio 1969. In un fondo non firmato intitolato «Cieli aperti», il Messaggero scriveva: «Questa notte per noi italiani, e di giorno per coloro che abitano agli antipodi, non ci sarà che un solo pensiero e una sola trepidazione. Armstrong e Aldrin tenteranno l’eroica, la prodigiosa impresa».
Ma il meglio di sé lo diede la Rai (in quegli anni davvero la guida culturale e informativa del Paese), che alle 19 e 28 del 20 giugno, dallo studio 3 di via Teulada diede il via alla più lunga ed emozionante maratona televisiva della sua lunga storia, battuta solo undici anni dopo, nel 1981, dalla tragedia di Vermicino. Con la conduzione di Tito Stagno e Andrea Barbato, si andò avanti fino alle 23 del giorno dopo.
Alcuni numeri di quella trasmissione: quasi 28 ore di diretta. 500 ospiti coinvolti tra gli studi di Roma, Milano, Torino e Napoli. 8000 sigarette fumate, accompagnate da 6000 caffè. 250 dipendenti Rai impegnati, tra giornalisti, tecnici, impiegati e operai.
Infine, il numero dei numeri, che testimonia, senza bisogno di altre spiegazioni, come per oltre 24 ore l’intero Paese avesse trattenuto il respiro sovrapponendo la realtà al sogno: tra le 22.15 e le 22.30, i momenti dell’allunaggio, davanti agli schermi in bianco e nero disseminati in tutte le case, i bar e i ristoranti del Paese, si inchiodarono 19 milioni 300 mila persone.
Sembrava l’inizio di una nuova avventura, che avrebbe prima o poi coinvolto tutto il mondo occidentale, Italia compresa. Certo, da noi c’erano stati segnali di forte tensione l’anno prima, con i violenti scontri tra studenti e polizia prima a Roma e poi a Milano. Ma nulla lasciava presagire che questo sogno di avventura, di scoperta, di conquista sarebbe stato distrutto, per molti, troppi anni, da un incubo fatto di violenza, morte e sangue. Meno di 5 mesi dopo, la strage di piazza Fontana.
Nicola Rao
Da “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, n. 1, 2019 (nuova serie), a. XXXI