di Nicola Rao
//Piazza Fontana è uno slargo milanese ad un passo dalla Scala e due passi da piazza Duomo. Non contiene edifici o strutture particolari, né statue di grande pregio e dimensioni. Sarebbe stata una location come tante, situata all’ombra dei centri pulsanti della Milano che conta. Ma quel che accadde 50 anni fa, ha cambiato per sempre la percezione che tutti gli italiani hanno di questo luogo.
Alle 16,37 del 12 dicembre 1969, la hall della Banca Nazionale dell’Agricoltura era ancora affollata. In realtà gli sportelli dell’istituto di credito erano stati serrati intorno alle 16, come sempre, ma quello era un giorno particolare. Molti agricoltori e allevatori erano rimasti nel salone centrale, come ogni venerdì, giornata di mercato.
E così, quando l’enorme tavolo di legno, posto al centro della sala, fu scaraventato dall’esplosione in cima al soffitto e ricadde violentemente a terra, schiacciando arti e teste e frantumandosi in centinaia di schegge impazzite, la carneficina era già compiuta.
Alla fine, il bilancio della strage fu il seguente: 17 morti e 88 feriti, molti dei quali rimasero invalidi. Ma un bilancio altrettanto doloroso e sanguinoso è stato quello che, dopo quattro processi, ha portato al fallimento delle inchieste penali, che non sono riuscite, come vedremo, a condannare nessun responsabile della strage. O meglio, l’ultima sentenza della Corte di Cassazione, pur confermando l’assoluzione di tutti gli imputati (il milanese Giancarlo Rognoni ed i veneziani Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi) una verità, seppur parziale, sep- pur storica, seppur penalmente irrilevante, l’ha sancita.
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Il testo completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. I, n. 2, 2019, nuova serie, a. XXXI, pp. 375-383.