di Gianni Scipione Rossi
//Due sono i fondi archivistici conservati dalla Fondazione relativi a personalità strettamente riconducibili alla Associazione Nazionalista Italiana: Attilio Tamaro e Serafino Mazzolini. Personalità peraltro legate da percorsi quasi paralleli, sia pure con significative differenze. Entrambi vengono dal giornalismo e da una giovanile attività politica tra i nazionalisti, per poi confluire nel Pnf e approdare alla carriera diplomatica.
Attilio Tamaro (Trieste, 1884 – Roma, 1956)
Attilio Tamaro
(Fototeca Civici Musei di Storia e Arte Trieste)
È difficile – e sarebbe forse arbitrario – chiudere Tamaro in una univoca definizione. È stato un giovane militante irredentista nella sua Trieste. Un teorico del diritto storico delle terre giuliane e dalmate di ricongiungersi all’Italia unita. È stato dunque un convinto irredentista. Non per caso a lui fu affidata nel 1933 la redazione della voce “irredentismo” dell’Enciclopedia Italiana. Tanto più che la definizione si presentava complessa.
“Poiché la parola era nuova – notò Tamaro –, essa diede l’impressione che si volesse iniziare una nuova lotta, mentre in verità si trattava della continuazione del Risorgimento, non potendosi considerare compiuta l’unità nazionale finché l’Italia non fosse arrivata alle sue frontiere naturali e storiche. Venuta in uso la parola nuova, essa ebbe più sensi, appunto a causa dell’errore originale: giacché, per gli agitatori del regno, si riferì sempre al movimento da loro iniziato; per gl’irredenti, invece, a tutta la loro attività nazionale, dopo il 1866, e spesso anche alla più antica. Per questa erronea impostazione iniziale e per influsso delle ideologie democratiche, l’irredentismo fu concepito come applicazione del principio di nazionalità e rimase sempre incerto quanto ai limiti delle desiderate rivendicazioni: se solo a oriente o se anche a occidente, dove erano altre terre italiane soggette a stranieri; e a oriente sino al Brennero o a Salorno, sino al Monte Maggiore o a Fiume, nel Quarnaro o anche in Dalmazia? Si fecero discussioni come se il problema non fosse mai stato discusso nel Risorgimento e non gli appartenesse”.
Ma Tamaro non è stato solo un irredentista colto. Dopo la laurea in lettere a Graz e un biennio da bibliotecario a Parenzo, si dedicò completamente alla scrittura, sia come saggista sia come giornalista. A vent’anni pubblica il suo primo articolo sul triestino “L’Indipendente”: una recensione a Grandezza e decadenza di Roma di Guglielmo Ferrero. Nel 1910 comincia a collaborare con “Il Piccolo”. Nel 1914 con “Il Giornale d’Italia”. Ma nello stesso anno, il 2 ottobre, il foglio nazionalista “L’Idea Nazionale” da settimanale nato nel 1911 si trasforma in quotidiano. Il primo pezzo di Tamaro appare il 2 novembre, non per caso con il titolo “L’italianità della Dalmazia”.
Le sue collaborazioni si allargano con il passare degli anni. Al “Corriere della Sera”, al “Secolo” di Milano, al “Resto del Carlino”, alla “Rassegna Italiana”, alla “Gazzetta di Venezia”, a “Politica”, per ricordare solo le più rilevanti.
Nel 1920 comincia la sua collaborazione a “Il Popolo d’Italia”. Un anno prima aveva sofferto la delusione di non essere scelto da Teodoro Mayer come direttore de “Il Piccolo”, che rinasceva dopo la chiusura causata dalle devastazioni filo austriache del 1915, quando l’irredentista Tamaro è costretto a rifugiarsi a Roma.
Stando alla corrispondenza contenuta nel Fondo Tamaro, nel novembre 1918 Mayer gli aveva lasciato intendere che lo avrebbe nominato. Ma la scelta cade poi su Rino Alessi e provoca una sdegnata reazione di Tamaro, con una lunga lettera all’editore (18 aprile 1919). Non gli resta, per ora, che “L’Idea Nazionale”.
Non è qui il caso di ricostruire nel dettaglio le altalenanti vicende del quotidiano nazionalista, nel quale Tamaro viene assunto come caporedattore nel 1920, quando per un breve periodo è di proprietà del futuro guardasigilli Alfredo Rocco, per breve tempo con il finanziamento degli industriali Perrone.
Nell’archivio stano numerose tracce. Per fare un esempio, un ordine di servizio destinato il 15 settembre 1920 ai “redattori di provincia”. Tamaro ricorda che “I redattori delle cronache provinciali hanno l’obbligo di conoscere a pieno la posizione che il giornale prende difronte ai partiti e ai problemi maggiori e di mantenerle in tutte le sezioni”. Nella sostanza il quotidiano rischiava di smentirsi da una pagina all’altra.
“L’Idea Nazionale” comunque non decolla, da sempre gravata dalle divisioni politiche dell’ANI. Tamaro cerca dunque altre strade. Nel suo diario, registra il 17 agosto 1921: “Scritto a Rocco. L’Idea non può continuare nelle attuali condizioni, né io posso pregiudicare il mio avvenire dando la falsa impressione di essere il responsabile dell’eventuale caduta del giornale”. D’altronde anche Tamaro è parte del gioco politico. In fondo il quotidiano ha contribuito ad allargare le sue già vaste frequentazioni, anche epistolari, come testimoniano – per fare due esempi – i carteggi con lo scrittore Sem Benelli e con il giornalista, esploratore e geografo Corrado Zoli, che sarà sottosegretario agli Esteri della Reggenza del Carnaro, governatore dell’Eritrea e presidente della Società Geografica Italiana.
Tamaro diventerà, con il tempo, uno dei più informati esponenti del regime fascista. Per ora – cito una lettera del 14 agosto 1920 – può raccogliere, ad esempio, gli sfoghi e i consigli dell’economista Maffeo Pantaleoni: “Caro Tamaro, quel maiale di Salvemini non vi batta. Non va più sfidato a onesta tenzone. Va schiaffeggiato, sputacchiato”. È un piccolo spunto, naturalmente, in linea con il noto carattere fumantino di Pantaleoni. Uno spunto che, insieme a tanti altri, merita di essere contestualizzato.Pantaleoni fa riferimento alla polemica tra Gaetano Salvemini e Attilio Tamaro sulle prospettive dei rapporti tra popolazione slave e dalmate dopo la prima guerra mondiale. Alle posizioni filo-slave esposte nel 1918 da Salvemini e dal geografo Carlo Maranelli ne La questione dell’Adriatico, Tamaro reagì duramente. Ne derivò una replica altrettanto dura di Salvemini nella seconda edizione del libro, nel 1919. La polemica proseguì fino a metà degli anni Venti.
Tra corrispondenza e diario, va riconosciuto che il Fondo Tamaro è una miniera d’oro per i ricercatori interessati ad approfondire la storia e a cultura politica del nazionalismo italiano e del fascismo.Io gli debbo la completezza di due biografie, quella di Alice de Fonseca e quella di Camillo Castiglioni. Ma ancora molto c’è da scavare, in particolare per i decenni precedenti al 1922. D’altra parte è stato testimone privilegiato di eventi di grande rilievo, oltre che registratore attento e curioso di ciò che si muoveva intorno a lui, da vero giornalista. Volontario nel 1915, in missione “per incarico diretto del governo” a Parigi, prima, e a Londra, dopo, per curare l’attività di propaganda e difendere i diritti nazionali dell’Adriatico in vista della Conferenza di pace, dopo l’esperienza negativa a “L’Idea Nazionale”, raggiunge Vienna come corrispondente de “Il Secolo” e de “Il Popolo d’Italia” e come informatore del ministero degli Esteri, mentre prosegue la sua attività di storico. È del 1924 la sua fondamentale Storia di Trieste.
Dal 1923 al 1927 è delegato per i Fasci all’Estero per l’Austria, poi entra per nomina politica prima nella carriera consolare ad Amburgo e poi nella carriera diplomatica, come ministro plenipotenziario a Helsinky e a Berna.
Nel 1943 sarà richiamato a Roma ed espulso dal Pnf, con l’accusa di aver aiutato l’amico ebreo Castiglioni – già finanziatore de “L’Idea Nazionale” dopo i Perrone – nel quadro di una complessa vicenda che ho ricostruito – grazie anche alle carte Tamaro – nella mia biografia dell’industriale e finanziere triestino. Sia pure in questa sede per sua natura parziale, va ricordato che Tamaro fu tra i pochi esponenti del regime a prendere posizione contro le leggi razziali e la persecuzione degli italiani ebrei, pur provenendo da un milieu culturale e politico – quello nazionalista – nel quale non mancarono di manifestarsi sentimenti antisemiti, con lo stesso Maffeo Pantaleoni. In questo senso Tamaro è un vero figlio della complessità culturale triestina. Tra le sue carte le tracce sono numerose e significative. Il 31 marzo 1944 registra nel diario un colloquio con l’anziano Giorgio Pitacco, che da deputato triestino al parlamento di Vienna aveva fondato l’Associazione fra gli italiani irredenti, per poi essere sindaco della città giuliana dal 1922 al 26 e podestà dal 1928 al 1933: “Con Pitacco si discorreva oggi degli ebrei triestini e dei grandi meriti da loro conquistati nell’irredentismo. Gli ho raccontato che quando Andrea Torre, nel 1913, venne a Trieste, avendomi egli chiesto perché avessi tanta fiducia nella prossima redenzione della nostra città, gli risposi: perché tutti gli ebrei sono irredentisti…”
Si è detto che il fondo Tamaro è ancora in larga parte una miniera da esplorare. Altri esempi sulla questione leggi “razziste”, comecorrettamente le definisce spesso Tamaro, tratti dal diario.
Berna, 28 agosto 1941
L’ambasciatore Cerruti possiede tutt’ora una lettera autografa di Mussolini, con la quale questi – nel 1934 – lo invitò a recarsi da Hitler e a parlargli della questione ebraica: gli dicesse che egli, Mussolini, non credeva opportuno fare la guerra agli ebrei in quanto ebrei, ma che bisognava attaccarli e perseguitarli come comunisti, come antinazisti, come nemici del regime, essendo pericoloso tirarsi addosso l’ebraismo di tutto il mondo. Racconta Cerruti, che mentre egli leggeva e traduceva la lettera, Hitler scattò esclamando che Mussolini non capiva nulla della questione ebraica.
[…]
Roma, 10 agosto 1944
Enrico Rocca si è suicidato perché, dopo aver lungamente sofferto causa le leggi razziali, quando, ritornato a Roma, se ne credeva liberato, si vide minacciato da una nuova persecuzione per essere stato uno dei fondatori del fascio romano.
Tamaro non aderirà alla Repubblica Sociale, nonostante le insistenze della seconda personalità di origine nazionalista di cui la Fondazione conserva un fondo archivistico: Serafino Mazzolini. Nel dopoguerra, Tamaro si dedicherà ancora alla storia – con i volumi Due anni di storia e Vent’anni di storia, a lungo indispensabili fonti per tutti gli storici del fascismo – e alla pubblicistica, collaborando intensamente al primo giornale del mondo neofascista, il settimanale “La Rivolta Ideale”, oltre che, con molti pseudonimi, al “Messaggero”, al “Messaggero Veneto”, a “Italia Nuova” e a “L’Ora d’Italia”.
Serafino Mazzolini (Arcevia, 1890 – San Felice del Benaco, 1945)
Serafino Mazzolini
La vicenda biografica di Serafino Mazzolini presenta molte similitudini con quella di Tamaro. Giovanissimo comincia l’attività politica nelle sue Marche, e presto, a Macerata – dove conosce Maffeo Pantaleoni – diventa un protagonista del movimento nazionalista. Avvocato, è anche giornalista e sarà direttore del “Corriere Adriatico”. Interventista, nella Grande Guerra è inviato al fronte come corrispondente de “L’Ordine” di Ancona.
Lo si potrebbe definire anche irredentista del fronte interno, poiché è culturalmente debitore della corrente che spinge per il ricongiungimento della Dalmazia all’Italia, nel quadro del sogno antico di consolidare l’Adriatico come un mare esclusivamente italiano. L’Adriatico lo attraverserà per raggiungere D’Annunzio a Fiume. Nella marcia su Roma guiderà le camicie azzurre anconetane, dopo aver guidato la Sezione Nazionalista di Ancona, gli ex combattenti della “Legione Sempre Pronti” e fondato il giornale “La Prora”.
Mazzolini, al centro, con le medaglie,
guida una squadra di nazionalisti,
probabilmente nell’agosto o nel
settembre 1922 nel corso, Vittorio Emanuele
di Ancona (oggi corso Garibaldi)
Nel 1921 è segretario amministrativo dell’ANI, ma manca l’elezione a deputato, data per avvenuta sulla base dei primi dati da “L’Idea Nazionale”. Dopo la confluenza dei nazionalisti nel fascismo, sarà segretario aggiunto del Pnf con Farinacci, commissario del partito a Napoli, deputato nel 1924, sempre in quota a Federzoni.
Poi, l’approdo alla carriera consolare – a Montevideo – e diplomatica come ministro plenipotenziario in Egitto e governatore civile in Montenegro. Da segretario generale degli Esteri, nonostante la fede monarchica, aderirà alla Rsi, rompendo i rapporti con Federzoni, e sarà sottosegretario di Mussolini.
Il Fondo Mazzolini conservato in Fondazione non è paragonabile come rilievo a quello Tamaro. È costituito dalla copia della versione integrale dei diari 1939-1945, che solo parzialmente ho potuto pubblicato in appendice alla sua biografia. Gli originali delle agende, carteggi, documenti, materiale filmato e fotografie – pur utilizzati – sono conservati dagli eredi e posti sotto tutela della Sovrintendenza dell’Umbria.
Il testo completo di apparato di note in “Annali della Fondazione Spirito”, a. 2018, XXX