La lunga storia del Confine Orientale: il podcast realizzato con Federesuli

La Fondazione, in collaborazione con Federesuli, ha realizzato un podcast dal titolo La lunga storia del Confine Orientale. Le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico (XIX-XX secolo). Nel podcast, contributi di Nicola Porro, Egidio Ivetich, Ester Capuzzo, Massimo de Leonardis, Giuseppe Parlato, Massimo Bucarelli, Raoul Pupo, Basilio Di Martino, Filippo Cappellano, Andrea Ungari, Giuseppe de Vergottini, Antonio Varsori, Enrico Miletto, Ida Caracciolo, Kristjan Knex, Luca Micheletta, Davide Rossi, Luciano Violante, Gianni Oliva e, con un intervento postumo, Giampaolo Pansa.
L’intento alla base dell’iniziativa è quello di creare uno strumento di approfondimento permanente e di facile fruizione, utile a interessati e studiosi, in occasione del Giorno del Ricordo 2022.

Il podcast è disponibile sui social e nel link qui sotto.
Questa è la presentazione del presidente di Federesuli Giuseppe de Vergottini e del presidente della Fondazione Giuseppe Parlato.

La Federazione delle Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati (FederEsuli), in collaborazione con la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, in occasione della celebrazione del Giorno del Ricordo 2022, propongono il podcast intitolato “Le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico (XIX-XX secolo)”, scaricabile al seguente link https://anchor.fm/federesuli. La scelta che ha mosso la FederEsuli, in collaborazione con la Fondazione Spirito-De Felice, è stata quella di realizzare uno strumento di comunicazione agile e nello stesso tempo approfondito scientificamente. Per questo motivo si è voluto chiedere a docenti universitari, esperti militari e a giornalisti, tra cui de Vergottini, Ivetic, Oliva, Parlato, Pansa, Porro, Pupo, Varsori e Violante, di realizzare, ciascuno secondo le proprie competenze, un testo che rappresenti un momento di riflessione e di conoscenza sui molteplici aspetti delle relazioni tra le due sponde dell’Adriatico. La presenza di studiosi di diversa sensibilità culturale e storiografica ha avuto l’obiettivo, speriamo riuscito, di offrire un variegato prisma delle vicende accadute nella frontiera orientale in un’ottica pluralistica e priva di connotazioni preconcette.
Solo in questo modo, riteniamo si possa superare un certo clima di scontro aprioristico che da alcune parti si scorge su queste tematiche, il quale non soltanto è contrario a una corretta impostazione scientifica ma soprattutto rischia di vanificare quanto di positivo in questi diciotto anni è stato fatto, di riaprire vecchie ferite, di offuscare gli sforzi delle istituzioni, a cominciare dall’incontro tra i due Capi di Stato, italiano e sloveno, i quali lo scorso anno hanno insieme reso omaggio alle vittime dei totalitarismi, in una suggestiva comunanza che non significa annullamento delle rispettive ragioni ma superamento, con il concorso della storia, di quelle divisioni che hanno insanguinato le due coste dell’Adriatico.
Giuseppe de Vergottini
Giuseppe Parlato

 

Dall’Adriatico al Tirreno, l’approdo genovese degli esuli giuliano-dalmati

Petra Di Laghi, Da profughi ad esuli. L’esodo giuliano-dalmata fra cronaca e memoriaEdizioni Accademiche Italiane, Chisinau 2018

//Sviluppo editoriale della sua tesi di laurea magistrale in Scienze storiche presso l’Università degli Studi di Torino, l’opera prima di Petra Di Laghi è dedicata all’accoglienza dei profughi istriani, fiumani e dalmati a Genova nel periodo 1945-1955. Oltre alla padronanza della bibliografia più aggiornata in merito alla complessa vicenda del confine orientale, l’autrice ha effettuato ricerche archivistiche a Genova e presso l’Archivio Museo Storico di Fiume al quartiere giuliano-dalmata di Roma.

La prima parte del volume è dedicata alle dinamiche che condussero all’allontanamento del 90% della comunità italiana dell’Adriatico orientale: in tal senso particolare rilievo è dato allo “spaesamento”, elemento determinante nella scelta dell’esodo assieme al clima di terrore diffuso dall’apparato poliziesco del nascente regime comunista jugoslavo. È inoltre ben contestualizzato il traumatico impatto dell’attentato dinamitardo titoista di Vergarolla che, con il suo lascito di decine di morti e di feriti tra i civili, fu una componente in più nell’indirizzare la quasi totalità degli abitanti di Pola ad esercitare l’opzione per la cittadinanza italiana e quindi l’abbandono della propria città. Prima di addentrarsi nel suo case study, l’autrice delinea le dinamiche dell’esodo a seconda della località di provenienza e specifica la scelta compiuta da molti, di fronte allo squallore dei campi profughi ed alla devastata situazione dell’Italia del dopoguerra, di emigrare oltreoceano (Americhe, Sudafrica, Australia).

A dispetto di quanto si potrebbe pensare conoscendo la tradizione comunista genovese e l’ostracismo che altre piazze “rosse” dedicarono ai connazionali in fuga dal confine orientale, la Di Laghi riferisce di un contesto che non ha manifestato avversione nei confronti dei circa 6.350 esuli giunti nel capoluogo ligure (8.500 in tutta la regione, stando al censimento contenuto in Amedeo Colella, L’esodo dalle terre adriatiche. Rilevazioni statistiche, Julia, Roma 1958). Costoro, fin dai primi arrivi, trovarono la prima accoglienza presso la stazione Principe a cura della Pontificia Commissione di Assistenza Auxilium e dell’Ente Comunale di Assistenza. La graduale sistemazione dei giuliano-dalmati a Genova avvenne non solo tramite il Centro Raccolta Profughi numero 72 della limitrofa Chiavari (ex colonia marittima fascista), ma anche attraverso la forma originale degli alloggi collettivi sparsi nell’area cittadina, sfruttando piccoli appartamenti e palestre. Solamente nel 1955 verranno edificate le prime case dell’Opera per i Profughi Giuliani e Dalmatiall’interno delle quali troveranno una collocazione anche i nonni materni dell’autrice, i quali hanno conservato nell’ambito della famiglia la memoria delle proprie radici e contribuito a stimolare l’attenzione e la passione storica della nipote verso queste pagine di storia nazionale troppo a lunghe rimaste in secondo piano.

Il lavoro della giovane ricercatrice genovese si contestualizza in un filone che ultimamente ha fornito interessanti contributi riguardo lo studio dell’arrivo e della sistemazione dei 350.000 istriani, fiumani e dalmati che avevano abbandonato le terre in cui vivevano radicati da secoli. Siamo passati dagli studi pionieristici non privi di memorialistica confezionati da Lino Vivoda (Campo profughi giuliani, Caserma Ugo Botti, La Spezia, Istria Europa, Imperia 1998) a Popolo in fuga. Sicilia terra d’accoglienza di Fabio Lo Bono, dedicato all’inserimento degli esuli nel contesto diTermini Imerese e recentemente pubblicato in una seconda edizione ampliata ed arricchita di contenuti. Se l’Istituto della Resistenza di Lucca ha sostenuto le ricerche di Armando Sestaniconfluite nel testo Esuli a Lucca. I profughi istriani, fiumani e dalmati 1947-1956 (Pacini Fazzi, Lucca 2015), un crescente numero di visitatori si reca al museo allestito dall’Unione degli Istriani all’interno dell’ex campo profughi di Padriciano sul Carso triestino.

Lorenzo Salimbeni

da “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2019, n. 1, nuova serie, a. XXXI.