Hervé A. Cavallera, Storia delle dottrine e delle istituzioni educative, la Scuola, Brescia 2017
// La lezione pedagogica di Hervé Cavallera, attenta al momento sapienziale della formazione, della Bildung, trova il suo inveramento nel presente volume che ripercorre la storia delle dottrine e delle istituzioni educative. L’ispirazione gentiliana conduce infatti l’Autore a cogliere il divenire spirito dell’uomo nell’inquietudine dello stare nel tempo, nel suo farsi storia, istituzione, per il bisogno di comunicare il sapere pedagogico. La dimensione umana dell’uomo, che Cavallera ritiene urgente recuperare nel formativo al fine di costruire un argine alle degenerazioni del presente, è oggetto della sua tensione educativa, volta a mantenere l’uomo e l’umano al centro della sua storia. Come è stato giustamente rilevato, Cavallera ci affida, attraverso la sua opera scientifica, «una visione dell’educazione come processo spirituale di crescita, sviluppo, darsi-forma di cui l’io è sempre protagonista» (F. Cambi, Attualismo, Bildung, Postmoderno. Tre nuclei-chiave della filosofia dell’educazione di Hervé A. Cavallera, in Eventi e Studi. Scritti in onore di Hervé A. Cavallera).
Non è quindi possibile restringere la storia di Cavallera nel genere della manualistica, perché la storiografia pedagogica «non è mai meramente asettica, come non può essere asettica l’opera di alcuno storico […], bensì permeata di un pathos formativo che costituisce la sua identità» (p. 9). Si tratta di una conseguenza inevitabile dal momento che la storia della civilizzazione coincide con quella dell’educazione, persino nei momenti in cui organizzazione e trasmissione del sapere erano automatismi di adattamento alle sfide ambientali. Cavallera sottolinea però come solo a un certo momento il processo educativo è diventato consapevole, con la nascita della sophia, della dimensione sapienziale, speculativa, che l’Autore considera momento ineludibile di un’autentica azione educativa.
Un momento dunque speculare alla nascita della filosofia in Grecia, con il primo grande educatore che fu Omero, capace di offrire al mondo greco «l’idea di un’unità che attraversa le stesse polis in continuo contrasto tra loro» (p. 14); con i modelli spartano e ateniese che, pur nella loro diversità, sono interessati a un’educazione integrativa del singolo nella comunità; con i culti misterici, il cui cammino iniziatico è un processo formativo che apre alla dimensione ultraterrena; con i filosofi che, in particolare a partire dalla sofistica, comprendono il valore performativo del sapere, fino a Platone, considerato culmine della paideia greca, sia «per la fusione degli ideali di bellezza, verità, bontà», sia per aver accentuato nella filosofia il lato della sophia, il carattere illuminante del sapere, imprescindibile possesso dell’uomo di governo. La fine del mondo classico assegna alla pedagogia un ruolo meno politico e più soteriologico, meno attento al mondo e più volto al’io. I due momenti si unificheranno nel mondo romano, nel quale l’esempio della virtus costituisce un modello personale e sociale. Il cristianesimo, invece, introduce una svolta rivoluzionaria legata all’insegnamento del Cristo, interamente direzionato alla dimensione sapienziale; infatti, «nelle sue parole confluisce tutta l’antica sapienza esoterica innovata dall’insegnamento dell’amore che permea ogni sua parola» (p. 66).
Molto ricca la ricostruzione dell’Autore dei molteplici aspetti della innumerevole messe di pensatori, in particolare Agostino e Tommaso d’Aquino, e delle istituzioni educative medievali, in particolare delle università. Interes- sante il capitolo dedicato alla civiltà bizantina – contributo di Giovanni Cavallera – nella comprensione dell’essenzialità di quel mondo per lo sviluppo della civiltà occidentale, in particolar modo per l’Umanesimo e il Rinascimento. La gentiliana concordia-discors spiega, per l’Autore, la ricchezza culturale dell’Italia del Cinquecento che trae alimento dalla varietà politica degli Stati italiani e la centralità della questione educativa che, per la prima volta, «comincia ad essere costitutiva dell’intera società» (p. 117), in virtù del carattere dinamico di una nuova organizzazione in cui diventa possibile una maggiore mobilità e di conseguenza diventa produttivo l’investimento in sapere dei figli. Numerose sono le scuole – tutte con efficace sintesi attraversate dalla riflessione di Cavallera – sorte nel periodo, anticipatrici della pedagogia attivistica di molti secoli successiva. Tuttavia, il forte senso storico dell’Autore non gli fa dimenticare che nell’epoca rinascimentale, in realtà, «giunge a compimento un percorso culturale avviato da tempo e che è perdurato all’interno dello stesso Medioevo, un percorso volto ad affermare in maniera esplicita l’interazione tra microcosmo e macrocosmo in un’ottica in cui il discorso speculativo non intende essere disgiunto da quello religioso» (p. 135). Un aspetto che ricorre in Lutero che affida all’educazione il successo della sua Riforma, ma anche nei Gesuiti e gli altri ordini della Controriforma che affidano all’educazione la difesa del cattolicesimo. Il Seicento, il secolo della nuova scienza, individua due percorsi in ambito pedagogico: «Il primo è ancora una volta quello sapienziale, cha appare però minoritario ed esposto ai rischi dell’eresia. Il secondo è quello diretto particolarmente all’istruzione della borghesia» (p. 159). Tuttavia, il primo percorso viene espunto dall’orizzonte scolastico che si laicizza e perde, di conseguenza, il carattere iniziatico e formativo della persona che fino a quel momento aveva conser- vato. Una tendenza che giunge a compimento nel Settecento empiristico, utilitarista e liberista: il secolo dell’individualismo, in cui il processo educativo è volto alla legittimazione della pretesa della classe borghese di arrivare al potere.
«La scuola deve “servire”» (p. 192) e a questo, ci sembra di ricavare dall’analisi di Cavallera, non fa eccezione nemmeno Rousseau, di cui pure vengono acutamente segnalate le tortuosità, ma anche gli stimoli che la sua riflessione politica ed educativa ha offerto alla storia della pedagogia. Infatti, «Rousseau fa del precettore il sapiente e occulto regista di un’onnipotente educazione che vuol render l’uomo quello che potenzialmente è, limitando nella sua stessa natura il proprio futuro» (p. 216) e così continua nella direzione vettoriale della moderna soggettività che pretende di esaurire in se stessa ogni aspetto dell’essere. Eritis sicut dii. La dimensione sapienziale è però un fiume carsico, pronto a riemergere quando in superficie si aprono spazi. Così, nel Romanticismo il sentimento nelle sue diverse declinazioni – politiche come estetiche come pedagogiche – contribuisce all’edificazione di una razionalità superiore «che riprende lo spirito del Rinascimento nel suo anelito di infinito che genera la fusione di arte, filosofia e religione» (p. 235). Se recuperano la dimensione sapienziale, gli educatori e le istituzioni del Romanticismo non trascurano l’elemento pratico e funzionale dell’insegna- mento, riuscendo ad operare una sintesi dei due momenti che coinvolge anche l’infanzia, specie quella resa orfana dalle guerre napoleoniche.
Pestalozzi, Herbart, Froebel, il pensiero spiritualistico del Risorgimento italiano, per citare solo i passaggi storici più rilevanti, consentono all’Autore di inverare le sue riflessioni teoriche, volte a sottolineare l’aspetto sapienziale del processo educativo che l’avvento del positivismo nella seconda metà del secolo rischia di mettere in pericolo. Rischia, perché in fondo, ci suggerisce l’Autore, la confutazione del positivismo è nel positivismo stesso che lascia sopravvivere il momento fideistico «proprio nel convincimento che nulla esista fuori dai fatti e nel non considerare a fondo che gli stessi vanno interpretati e quindi connessi per il tramite di una visione organica che supera il mero accadimento» (p. 289). Nel Novecento, i processi educativi si traducono in una forte spinta alla valorizzazione delle capacità intellettuali e spirituali degli alunni all’interno di una cornice di scolarizzazione di massa. Da un lato, la pedagogia anglosassone accentua l’individualità del soggetto pedagogico, da un altro si privilegia l’aspetto comunitario dell’educazione. Da un lato l’attivismo pedagogico, dall’altro Gentile. Alla figura del filosofo italiano, l’Autore, che ne è il massimo interprete, dedica ampio spazio per ricordare ai molti che lo hanno dimenticato, o che per ragioni ideologiche non lo hanno mai capito, che l’attualismo, considerando la realtà come spirito in perpetuo farsi, è una filosofia intrinsecamente educativa; la filosofia, infatti, «coincide dialetticamente con la pedagogia in quanto se la prima è conoscenza/attuazione della verità, non diversamente deve esserlo la seconda, in quanto l’educazione nel senso più alto comporta la conoscenza della verità e si attua attraverso un processo di autoformazione» (p. 333).
Di qui, la volonta’ di promuovere processi di libera formazione del soggetto come processo di autoeducazione, all’interno di una sintesi di maestro e allievo «che avviene allorché i due effettivamente comunicano in un coinvolgimento reciproco, all’interno del quale si realizza l’unità spirituale» (p. 334). Tutto il Novecento pedagogico viene comunque attraversato dalla riflessione di Cavallera, che non si limita a illustrare con efficace sintesi anche le più residuali espressioni pedagogiche, ma invita alla riflessione su questioni aperte, come, per fare un solo esempio, gli accordi tra gli Stati europei che «non sempre hanno vivificato i sistemi educativi, insistendo più su una comunanza strutturale che su una effettiva condivisione spirituale» (p. 390).
Il volume si conclude con una ricca bibliografia ragionata e con una storia schematica delle scuole europee, ma, lo ripetiamo, al di là dell’aspetto manualistico, l’importante lavoro di Cavallera ha il merito, nell’attuale autunno dell’educazione, di ricordare agli operatori culturali di non lasciarsi sopraffare dall’aspetto operativo e meramente strumentale del processo educativo, legato alle contingenze dell’effettuale, «per ritornare invece ad un’attività educativa capace di dare un senso non effimero e relativo al volgersi delle cose e delle persone» (p. 390).
Rodolfo Sideri
da “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2018, XXX