Padre Gianfranco Chiti, il generale che si fece frate

Rinaldo Cordovani, Gianfranco Chiti. Lettere dalla prigionia (1945), Prefazione di mons. Santo Marcianò, Ares, Milano 2019

//La timida sinossi in quarta di copertina non aiuta certo l’ignaro frequentatore di librerie a cogliere immediatamente la complessa specificità del caso che il volume – prefato dall’Ordinario Militare d’Italia – tratta con dovizia di informazioni, arricchite da un apparato documentario che comprende le fin qui inedite lettere di Gianfranco Chiti (1921-2004) all’amico cappellano Edgardo Fei. Lettere inviate «dopo la resa del suo battaglione il 5 maggio 1945 e il successivo internamento nei campi di Tombolo, Coltano e Laterina».

Un caso noto da tempo, ma quasi esclusivamente grazie a pubblicazioni di area strettamente religiosa o combattentistica.

Nessuna omissione, naturalmente, nel volume dedicato alla vita di quello che è ricordato come il generale che si fece Cappuccino. Pur bonario, padre Chiti non l’avrebbe perdonata. Nato per caso a Gignese (Verbania), ma pesarese d’origine, fin da giovanissimo ebbe due vocazioni apparentemente inconciliabili: quella militare e quella religiosa.

Non è dunque una conversione tardiva quella che nel 1978, lasciato il servizio con il grado di Generale di Brigata, lo vede uscire dal comando della Scuola Allievi Sottufficiali dell’Esercito adagiata sui contrafforti Cimini per indossare il saio da frate nel convento di Rieti, e prendere i voti quattro anni dopo.

[…] (G.S.R.)

 

Il testo integrale in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. I, n. 2, 2019, nuova serie, a. XXXI, pp. 411-413.