Evola, nervo scoperto della cultura.

Ancora in questi giorni si possono notare affissi a Roma dei manifesti firmati Azione giovani, l’organizzazione giovanile di An, che ricordano un “caduto” di qualche decennio fa, Mikis Mantakas. Lo scenario del manifesto comprende il complesso megalitico di Stonehenge ed una frase sul destino degli eroi, di Oswald Spengler, autore del Tramonto dell’Occidente. L’aura che il manifesto trasmette sta a indicare una propensione mitica, da non confondere con fantasy o new age, ancora evidentemente ben radicata tra i giovani di destra, come già fu negli anni cinquanta e ancora nei settanta. Il guru di quelle generazioni fu Julius Evola, teorico di un tradizionalismo integralmente antimoderno, figura eccentrica ma contigua alle “rivoluzioni” fascista e nazista, traduttore tra l’altro proprio dell’opera di Spengler.

Gianni Scipione Rossi, già autore di La destra e gli ebrei, ha ritenuto di dover approfondire un aspetto della sua ricerca sull’antisemitismo in Italia in riferimento ad Evola, che scrisse vari libri sul concetto di razza tra ’36 e ’41 distinguendosi da altre posizioni razziste ed eugenetiche, italiane e tedesche. Ed ha ora pubblicato un piccolo libro: Il razzista totalitario. Evola e la leggenda dell’antisemitismo spirituale, per Rubbettino. Le tesi sostenute, a seguito di un preciso lavoro di ricostruzione e comparazione, sono chiaramente delineate: il razzismo di Evola fu elemento centrale e non secondario del suo pensiero, il suo “spiritualismo” – la connessione cioè ad una metafisica gnostica e non ad una classificazione biologico-materialista – è un’aggravante e non un’attenuante nella sua visione del rapporto gerarchico tra le razze, l’ambizione di influire in campo razziale su fascismo e nazismo, anche con una diretta collaborazione con Himmler e le SS, indica una direzione d’impegno errata ab imis. Questi temi, conclude Rossi, depongono a sfavore di una figura che su di essi ha scommesso e perso la partita: parce sepulto. Eh no! intervengono subito da destra i cultori e difensori, un po’ d’ufficio, un po’ necessitati, del “barone nero”. Ciò che stupisce è che per due volte interviene il quotidiano di An, Secolo d’Italia: Evola è stato un pittore dadaista, un iniziato, uno studioso di religioni orientali, è stato “sdoganato” dalla curiositas di sinistra e ciò, si sostiene, basta a farlo sedere accanto a Gentile, Nietzsche e Schmitt, o a Celine e Pound.
Lo specifico evoliano, come per tutti questi autori, filosofi o poeti, sarebbe extra-politico, ed extra-razziale. Si può francamente dubitare di ciò. Evola ha poi avuto un peso politicamente negativo sui giovani di destra, immobilizzandoli nel mito dell’eroismo, che voleva “legionario” in senso ario-romano, pagano, ma che in realtà si risolveva per i più in un immobilismo decadente. I “figli del sole”, come allora si chiamavano, sprezzando democrazia e “pacificazione nazionale” nella sequela di Evola, monopolizzarono la gioventù missina, rinsaldando le mura di un ghetto politico. C’è una lunga trafila, o catena irrazionalista e misteriosofica, a destra, che comprende dopo Evola almeno un altro anello, Adriano Romualdi, e che attende di essere spezzato per far partecipare una certa destra ad una decente modernità. Altrimenti si continuerà a cantilenare come tribù sul destino e il tempo ciclico, attorno a Stonehenge.

GIOVANNI TASSANI
su «Avvenire», 10 aprile 2007