I teocon con Pascal. Per cucire lo strappo del 1789.

A p.136 del suo Cattolici, pacifisti, teocon. Chiesa e politica in Italia dopo la caduta del Muro (Mondadori, pp.190, euro 17,00) Gaetano Quagliariello, presidente della Fondazione Magna Carta, nata su ispirazione di Marcello Pera, serve al proprio dominus, il presidente del Senato, un assist da Pallone d’oro. Scrive infatti lapidario che il famoso libro Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, Islam (Mondadori, 2004), pubblicato da Pera con il cardinale Joseph Ratzinger appena prima dell’elezione di questi al Soglio di Pietro, «prospetta, in sostanza, di ricucire lo scisma provocato dalle conseguenze del 1789». Roba da sobbalzare sulla sedia. Sembrerebbe un programma reazionario e invece è il pensiero di un accademico di tutto rispetto, popperiano doc e liberale pure, presidente della Camera alta della repubblica italiana, dunque seconda carica dello Stato, appartenente al Centrodestra, ma pure dotato di una sua pregevole autonomia. E tale alla luce di una carriera specchiata anche per nessuna accondiscendenza clericale o esagerata simpatia filocattolica. Motivo in più per sobbalzare sulla sedia. Noi infatti siamo il 1789. Lo è tutto il mondo in cui viviamo, lo è tutto l’orizzonte che ci definisce, lo è persino il DNA che, culturalmente parlando, ci costituisce. Per cui sognarne il superamento è voce che la “cultura ufficiale” – la cultura “che conta” – rubrica immediatamente al novero degli azzardi clericali, tipici di chi ancora dà retta ai moniti retrò di un papa polacco che per esempio nel Discorso ai rappresentanti del mondo della cultura, delle Chiese non cristiane e agli studenti, a Praga, il 21 aprile 1990, tuonò: «se la memoria storica dell’Europa non si spingerà oltre gli ideali dell’illuminismo, la sua nuova unità avrà fondamenti superficiali e instabili».

Stato e Chiesa guardinghi, armati

Tutto inizia con i neocon e i teocon. Al di là del loro significato tecnico (che indica segmenti della storia della Destra USA), da noi le due espressioni sono la prima il nomignolo del “partito degli amerikani”, la seconda la sua evoluzione in “atei devoti”: e con esse si denigrano i nuovi, convinti alfieri dell’Occidente, immuni da paure verso la sua cultura, le sue radici e la sua identità. Quindi pure verso il cristianesimo, che ne è il crogiuolo e lo stampo.
Quagliariello ne rievoca la vicenda, prodromi americani e sbarchi italiani, nell’ultimo capitolo del libro a coronamento di una dotta e dettagliata ricostruzione dell’annosa questione dei rapporti fra cattolici e laici in Italia. A partire da un’altra idea forte: forte tanto quanto lo è quella sulla necessità di comporre lo scisma aperto dal 1789 e tale perché anch’essa fin qui appannaggio, secondo certe vulgatae, di esagerazioni sanfediste. «L’Italia», scrive Quagliariello (è la frase che apre il suo libro) «è stata l’unica grande nazione dell’Occidente la cui unificazione si è fatta contro la volontà della Chiesa», l’appartenenza alla quale definì la maggioranza degl’italiani (molti unificazionisti inclusi) allora e che ancora, nonostante tutto, ispira molti.
Il suo, del resto, è un lungo viaggio a bordo di una nave che si chiama scommessa: quella di un Paese alla ricerca di se stesso e perennemente con se stesso in lotta, dal contrasto fra classe dirigente cavouriana e cattolici, Santa Sede e Stato nascente, ma pure, all’interno del mondo cattolico e a fronte dello Stato unitario, fra transigenti e intransigenti, o modernisti, legittimisti e protopopolari. Per Quagliariello, peraltro, tutta la politica e la storia del rapporto tra cattolici e Stato italiano s’iscrive, con le sue mille varianti, in uno schema che egli felicemente definisce “concordatario” e che trascende – senza distaccarsene, ovvio – le fattispecie giuridiche dei Patti Lateranensi del 1929 e quelle della loro revisione nel 1984. La logica “concordataria” descritta è infatti quella che, da una parte e dall’altra, ha sempre puntato tutto sull’ottenimento prima e sulla preservazione poi di garanzie per sé onde tutelarsi dalle esuberanze altrui. Una storia in cui s’inserisce la vicenda del non expedit prima e del partito creato da don Luigi Sturzo dopo, i rapporti dei cattolici con il regime fascista e pure la situazione nuova creatasi del dopoguerra di fronte al pluralismo democratico e al crescere delle Sinistre.
Quindi le pretese e le ascese del partito unico dei cattolici, la Democrazia Cristiana; i suoi rapporti difficili e controversi con il maggior partito comunista dell’Occidente; il cosiddetto “dossettismo” e il compromesso storico che ne nacque a fine anni Settanta (che dei rapporti, delle difficoltà e delle controversie precedenti fu assieme inveramento per un verso, distacco netto per un altro); e la politica della “terza fase” auspicata da Aldo Moro. Quindi la fine dell’egemonia democristiana sul voto cattolico; la presa d’atto (anche da parte della gerarchia ecclesiastica) dell’avvenuta riconfigurazione bipolare della politica nazionale; la frantumazione dell’elettorato cattolico; la ripresa del progetto dossettiano da parte di Romano Prodi; il tentativo (breve) neomoroteo di Francesco Cossiga; e la “testimonianza”, sempre più liminale, del “partito dei cattolici”, dalla segreteria di Rocco Buttiglione all’oggi.

Scommettiamo?
Ma la parte più stimolante del libro è quella che racconta il presente e che ipotizza (ipoteca?) il futuro. Quagliariello racconta di come due eventi, tanto improvvisi quanto inattesi, meritino la palma dell’innovazione. Il primo è il crollo del Muro di Berlino, il secondo l’Undici Settembre. Scontato, si dirà. Molto meno di quel che sembra, invece, nell’uso che ne fa l’autore di Cattolici, pacifisti, teocon.
Per lui sono quei due eventi ad avere modificato profondamente il rapporto tra cattolici e laici in Italia. Coda della fine del comunismo nel nostro Paese, la scomparsa del partito unico dei cattolici (primo elemento) ha prodotto una libera uscita, a destra e a sinistra, di forze prima congelate altrove che nella fase di ricombinazione degli scenari intervenuta a causa dell’attacco portato all’Occidente da una cultura che nega in radice ciò che l’Occidente è, ha rinsaldato certi ranghi in maniera prima impensata (secondo elemento).
Dedicando lo spazio che esso merita al pacifismo cattolico (e alle strumentalizzazioni di parte progressista, cattolica e non, dei pronunciamenti di Papa Giovanni Paolo II), Quagliariello convince quando descrive quella stagione come una parentesi, presto esauritasi nel segno del pontificato di Benedetto XVI. Un pontificato peraltro “annunciato” da un ritorno d’insistenza assai significativa da parte del magistero ex Cathedra sull’universalità della verità cristiana, anche a scapito nel dialogo con “gli altri”
E quindi il pensiero liberale di Gaetano Quagliariello, Marcello Pera e Fondazione Magna Carta che c’entra? Molto, si dice in Cattolici, pacifisti, teocon. Perché si tratta di un liberalismo del tutto diverso da quello teoretico nato nel 1789 con la cesura illuministico-giacobina. Tanto diverso, nel suo ispirarsi all’esperienza anglosassone attenta alla storia, da esserne il più fiero nemico: l’uno, quello “francese”, è infatti definito dal relativismo, l’altro, quello “anglosassone”, dalla lotta contro quel nemico. Da qui l’incontro con la teologia ratzingeriana tesa al dialogo con le culture che si chiamano fuori dalla palude relativista.
Tutto secondo un’idea folle di quella follia che Dio ama: perché non provare, da parte “liberale”, a vivere politicamente come se Dio esistesse? È l’antica scommessa di Blaise Pascal. Oggi per i teocon non credenti d’Italia assume la forma dell’unico oltre-1789 possibile. Te Deum.

MARCO RESPINTI
Da “Il Domenicale”, 1-7 aprile 2006