L’eterna “questione meridionale” e i nuovi strumenti di intervento nel saggio di Michele Pigliucci

Nell’ambito delle politiche di sviluppo territoriale, l’Italia ha recentemente introdotto le Zone Economiche Speciali da istituire nelle otto regioni del Mezzogiorno, sulla scorta delle esperienze analoghe che in diversi Paesi in tutto il mondo hanno aiutato territori in ritardo di sviluppo a uscire dallo stato di minorità grazie all’attrazione di investimenti stranieri.

All’analisi e alle prospettive di questa scelta è dedicato il recente saggio Le zone economiche speciali nel Mezzogiorno d’Italia di Michele Pigliucci, docente universitario di geografia economica e politica e di geografia del turismo, e direttore della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice.
La sola istituzione delle ZES non è tuttavia di per sé sufficiente a garantire sviluppo economico: per ottenere questo risultato, la misura deve essere accompagnata da scenari strategici di medio periodo in grado di valorizzare il capitale territoriale e dare certezza agli investimenti strutturali e infrastrutturali. Attenti processi di valutazione devono accompagnare il policy making per attuare scelte sostenibili. Il libro intende dunque offrire sostegno al dibattito politico europeo e nazionale, analizzando i Piani di sviluppo strategico delle Regioni, proponendo soluzioni complesse che garantirebbero al Mezzogiorno opportunità di rilancio competitivo, prerequisito affinché l’Italia eserciti il proprio ruolo nel panorama transnazionale.

Un lavoro importante, come sottolinea in sede di prefazione Maria Prezioso, ordinario di geografia economica e politica nell’Università di Tor Vergata, nel quale <il costante richiamo al capitale umano fatto dal Pigliucci non è casuale>. Rilancia infatti <come solo i giovani ricercatori sanno fare – una “Questione meridionale” mai conclusa, per cui lo strumento legislativo potrà essere effettivamente efficace solo nel caso in cui lo stesso preveda – al di là degli esoneri e delle agevolazioni fiscali – un sistema socio-operativo maggiormente favorevole rispetto a quello ordinario rappresentato da procedure amministrative rapide e certe. Lo fa con articolare riferimento ai piccoli comuni a rischio spopolamento e alle periferie metropolitane considerando lo ZES un modo particolarmente adatto per interpretare il futuro della coesione in Italia>.

Michele Pigliucci, Le zone economiche speciali nel Mezzogiorno d’Italia, Nuova Cultura, Roma 2019, pp. 134, € 26.

 

Continua il lavoro dei giovani studiosi selezionati per le ricerche su Spirito e De Felice

Prosegue, in vista della consegna dei lavori fissata per il prossimo 30 novembre 2020 e della seconda fasedella selezione prevista dal bando, il lavoro dei giovani studiosiscelti dalla Commissione Scientifica, presieduta dal prof. Hervé A. Cavallera e composta dai professori Paolo Simoncelli e Umberto Gentiloni Silveri, nonché dai professori Danilo Breschi, Giuseppe Parlato e Gaetano Sabatini, quali componenti interni della Fondazione, per le ricerche sull’opera di Ugo Spirito e Renzo De Felice.

Ricordiamo che i cinque temi individuati nei due indirizzi di studio, storico e filosofico, sono stati i seguenti:“La vita come ricerca” e la cultura giovanile fascista di Ugo Spirito; L’altro Turati. Storia di Augusto, segretario del PNF; Ugo Spirito e la critica al marginalismo economico; Fenomenologia della sinistra fascista (1946-1989) a partire dall’esegesi di Renzo De Felice; Il tema del comunismo in Ugo Spirito tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta.

Nella seconda fase, la Commissione Scientifica premierà le tre ricerche valutate più valide per rigore scientifico ed originalità interpretativa. Il premio consisterà nell’assegnazione di tre borse di studio, dell’ammontare rispettivamente di 1000 euro per il primo classificato e di 750 euro, ciascuno, per il secondo e terzo classificato.

Un uomo del Novecento. L’europeista Giulio Bergmann nel saggio di Matteo Antonio Napolitano

All’interno della collana Biblioteca Scientifica Europea, edita da Aracne editrice, è stato pubblicato il volume Verso l’Europa unita. Il percorso politico-istituzionale di Giulio Bergmann di Matteo Antonio Napolitano, coordinatore di redazione degli «Annali» della Fondazione.

Un volume che giunge opportunamente a colmare una lacuna negli studi dell’europeismo italiano. Come sottolinea Silvio Berardi nella Prefazione, per Bergmann «si può parlare di un profilo noto agli storici dell’integrazione europea, ma sino ad ora ingiustamente assente su di un piano organico, lasciato dunque ai margini della storiografia di settore, nonostante il suo lungo e originario cammino di avvicinamento alla causa repubblicana ed europeista abbia fornito, nel corso del tempo, traiettorie innovative e di particolare interesse».

Giulio Bergmann nacque a Milano il 21 novembre 1881, da Giuseppe – avvocato e giurista – e Fanny Norsa. Il capoluogo lombardo sarà il centro delle sue attività professionali, dopo la laurea conseguita in Giurisprudenza, e delle poliedriche esperienze politiche. Dal 1898, a soli 16 anni, iniziò a prendere parte alle Associazioni monarchiche tra studenti, una prima esperienza di formazione politica che lo portò al più strutturato percorso vissuto con i Giovani liberali di Giovanni Borelli. Con l’approssimarsi della Grande Guerra, Bergmann si trovò coinvolto nel movimento nazionalista come attivo partecipante del gruppo milanese, sostenendo una prospettiva interventista. Si distinse al fronte e subito dopo la guerra portò avanti la causa degli ex combattenti, che lo avvicinò – pur senza formale adesione – al primo fascismo. L’anno di svolta fu il 1938, lo stesso delle leggi razziali e dei venti di guerra. Le origini ebraiche furono causa di discriminazione, personale e per la famiglia, e portarono presto Bergmann verso l’esilio in Svizzera, paese a cui era già legato principalmente per motivi professionali. In terra elvetica strinse alcuni legami decisivi per le future scelte: pensiamo a Ernesto Rossi e al mondo dei federalisti europei, ma anche al consolidamento del lungo rapporto di amicizia con Ferruccio Parri. Deluso dalle posizioni monarchiche e convinto delle responsabilità del Re in merito alle leggi razziali e al disfacimento della nazione in guerra nel 1943, passò vertiginosamente al repubblicanesimo, con spiccati accenti europeisti. Dopo la partecipazione ai lavori della Consulta nazionale, fu senatore per il Partito repubblicano italiano nella prima legislatura e membro supplente dell’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa, due importanti incarichi attraverso i quali ebbe la possibilità di impegnarsi attivamente sia per il rilancio italiano, sia per l’unità europea, intesa in senso economico e politico. La sua attività si interruppe però improvvisamente nel marzo del 1956, poco dopo il fallimento del progetto CED e immediatamente prima dei Trattati di Roma.

M.A. Napolitano, Verso l’Europa unita. Il percorso politico-istituzionale di Giulio Bergmann, Aracne editrice, Canterano (RM) 2020, 188 pp., 11€.

Il libro può essere acquistato online sul sito dell’editore:

http://www.aracneeditrice.it/index.php/pubblicazione.html?item=9788825532852

NEWSLETTER GIUGNO 2020

Riapertura regolare della Fondazione

Terminato il periodo di chiusura disposta dalle autorità a causa della pandemia da Covid-19, la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice ha riaperto al pubblico lunedì 18 maggio, con orario ridotto, per riprendere l’orario consueto da mercoledì 3 giugno : dal lunedì al giovedì ore 10.00-18.00 e il venerdì ore 10.00-14.00, nel rispetto degli standard di sicurezza per dipendenti e studiosi.

L’accesso alla Biblioteca e all’Archivio sarà consentito, su appuntamento da fissare e confermare scrivendo via email agli indirizzi: archivio@fondazionespirito.it o biblioteca@fondazionespirito.it, a un numero contingentato di persone.

L’attività di riproduzione dei testi è tornata ad essere attiva.
A ospiti e studiosi è fatto obbligo di mantenere comportamenti che garantiscano la sicurezza di tutti: saranno disponibili gel disinfettanti per le mani e le postazioni saranno disinfettate come da disposizione di legge.
All’interno dell’Istituto sarà obbligatorio l’uso della mascherina e il rispetto del distanziamento sociale di almeno un metro.

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Il 5 per mille a sostegno delle attività della Fondazione

Se vuoi sostenere le attività della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice puoi inserire nella dichiarazione dei redditi il codice fiscale 04015590583 nello spazio “scelta della destinazione del 5 per mille. Finanziamento della ricerca scientifica e dell’Università”.

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Oltre l’emergenza… #laculturanonsiferma anche per la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice.

La Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice desidera affermare, con tutte le istituzioni culturali italiane, che #laculturanonsiferma e continua con la propria iniziativa on line.

In questo difficile momento, la Fondazione intende continuare a mostrarsi attiva almeno dal punto di vista della formazione e della comunicazione. Nell’impossibilità di programmare incontri in sede, vorremmo comunque proseguire nel dare un contributo alla formazione a distanza attraverso brevi interventi che possano essere trasmessi in linea attraverso i canali oggi più diffusi della comunicazione via internet. Una Pausa dello Spirito che dovrebbe essere anche una pausa per lo spirito.

Si continua pertanto con la realizzazione di brevi riflessioni, della durata massima di 15 minuti, relativi ad argomento di carattere vario, generalmente storico, filosofico, economico, geografico e giuridico, svolti da collaboratori e da amici della Fondazione su tematiche ad essi consone, brevi video che saranno in onda il mercoledì e la domenica alle ore 18.00, sul sito, sulla pagina Facebook della Fondazione
(https://it-it.facebook.com/FondazioneSpirito)
e sul canale YouTube
(https://www.youtube.com/channel/UCroGlBH70CXPxUMnHOFD5JA).

Ecco gli appuntamenti già svolti e disponibili:

1) Giuseppe Parlato, “Presentazione dell’iniziativa” e “Gli scritti giornalistici di Renzo De Felice” (22 aprile);
2) Fabrizio Bugatti, “Lawrence d’Arabia” (26 aprile);
3) Giuseppe Pardini, “L’apparato clandestino paramilitare comunista, 1945-1950” (29 aprile);
4) Federica Formiga, “La costruzione del nemico attraverso le copertine degli opuscoli della Grande Guerra” (3 maggio);
5) Silvio Berardi, “Cesare Merzagora e la condanna della partitocrazia italiana ed europea” (6 maggio);
6) Davide Rossi, “L’emergenza nelle Costituzioni” (10 maggio);
7) Rodolfo Sideri, “Gentile e il Covid-19” (13 maggio);
8) Alessandra Cavaterra, “Ottavio e Neos Dinale e i loro archivi” (17 maggio);
9) Danilo Pirro, “Cesare Bazzani tra modernismo e tradizione” (20 maggio);
10) Danilo Breschi, “Il passato di un’illusione: l’idea comunista nel XX Secolo” (24 maggio);
11) Ester Capuzzo, “Il turismo in Italia tra le due guerre mondiali” (27 maggio);
12) Gianluca Barneschi, “L’inglese che viaggiò con il Re e Badoglio” (31 maggio);
13) Andrea Ungari, “Il ruolo della Monarchia nell’Italia liberale” (7 giugno);
14) Simonetta Bartolini, “Lo Zar non è morto” (10 giugno).

 

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Il canale YouTube della Fondazione
La Fondazione ha attivato un canale YouTube che rende disponibili tutti i video delle sue iniziative.
Seguitelo iscrivendovi al seguente link:
https://www.youtube.com/channel/UCroGlBH70CXPxUMnHOFD5JA/featured
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La Fondazione su Facebook
La Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice è presente su Facebook con una pagina utile per chi volesse essere sempre informato sulla sua attività organizzativa e culturale.
È uno strumento facile da usare e che può raggiungere migliaia di persone.
Si invitano dunque gli utenti di Facebook a contribuire alla diffusione della pagina mettendo un “mi piace” – like – e chiedendo ai loro amici social di fare altrettanto.
Questo è il link della pagina:
https://www.facebook.com/FondazioneSpirito/
Grazie.

 

 

Quale democrazia per la Repubblica? Ripensando il 2 giugno 1946

Se una ricorrenza ha un valore pubblico e civile è perché arricchisce la consapevolezza diffusa presso il maggior numero di abitanti di uno Stato-nazione, avvicinandoli così un po’ di più ad un’autentica condizione di “cittadini”. Il 2 giugno 1946 è la festa nazionale che più di ogni altra potrebbe sanare quelle ferite che l’Italia si porta dietro a seguito di una doppia guerra civile consumatasi nell’arco di un ventennio. La prima esplose tra 1919 e 1922 e fu apparentemente riassorbita con atto d’imperio e la trasformazione, di lì a tre anni, di un sistema costituzional-rappresentativo in una dittatura a partito unico. La seconda, più nota, fu quella che si consumò tra 1943 e 1945 e a cui il 2 giugno più immediatamente pose fine, almeno in una certa misura.

Si potrebbe obiettare che con il referendum istituzionale si manifestò una netta frattura tra sostenitori della monarchia e sostenitori della repubblica. Quel fatidico e fondativo giorno votarono 24.946.878 italiani e italiane (e anche per il voto nazionale alle donne la data è memorabile), pari all’89,10% degli aventi diritto. Si trattò dunque di una partecipazione elevatissima, che non aveva precedenti nella storia delle elezioni libere in Italia. Prevalse la scelta repubblicana con 12.718.641 voti, pari al 54,3%, contro i 10.718.502 suffragi a favore della monarchia, pari al 45,7% dei voti validi. La spaccatura apparve netta, anche in termini Nord-Sud, con la parte centro-settentrionale della penisola a maggioranza repubblicana, il Sud e le isole a maggioranza monarchica. Un’Italia spaccata in due, dunque? Apparentemente sì, ma nella sostanza no. Se infatti andiamo a vedere i contemporanei risultati per l’elezione dell’Assemblea costituente constatiamo che le forze monarchiche, presentatesi sotto un’unica lista elettorale denominata Blocco nazionale della libertà (che raggruppava Partito democratico italiano, Concentrazione nazionale democratica liberale e Centro democratico), ottennero soltanto 637.328 voti, pari al 2,77%, con 16 seggi su 556. Ben poca cosa. Nello stesso giorno in cui oltre il 45% votava a favore del mantenimento dell’istituto monarchico, il voto politico a favore di partiti monarchici era del 2,77%. È ovvio che tanto di quel 45% si espresse altrove in termini partitici, dalla Dc ai liberali (si pensi ad una figura come Luigi Einaudi), per una logica di “voto utile” resa inevitabile in epoca di partiti di massa e di incipiente Guerra fredda, però ciò significa anche che si antepose la scelta democratica alla scelta istituzionale. Questione di priorità: prima la democrazia come contenuto, poi la forma, repubblicana o monarchica che fosse.

Le successive elezioni politiche del 18 aprile 1948, le prime in regime repubblicano e con costituzione vigente, videro il Partito nazionale monarchico (Pnm), ufficialmente sorto il 13 giugno del 1946 all’indomani della sconfitta referendaria, ottenere alla Camera 729.078 voti, pari al 2,78%, e al Senato 393.510, pari all’1,74%. Peraltro il Pnm si presentò in una lista unica con un’altra formazione, l’Alleanza democratica nazionale del lavoro. Anche nel caso del 1948 va tenuto conto della estrema polarizzazione innescata da una Guerra fredda oramai divampata, e al fatto che nella nuova contrapposizione Est/Ovest la Dc riuscì a catalizzare quasi l’intero voto anticomunista, conservatore e filo-occidentale.

Se però proseguiamo nella storia delle elezioni politiche constatiamo che anche nelle successive due competizioni nazionali il voto monarchico non andò oltre il 6,85% (alla Camera) nel 1953, per poi ritornare al 2,23% (sempre alla Camera) nel 1958. Successivamente l’erede del Pnm, ossia il Partito democratico italiano di Unità monarchica di Alfredo Covelli ed Achille Lauro, oscillò tra l’1,75% (alla Camera nelle elezioni del 1963) e l’1,30% (sempre alla Camera nelle elezioni del 1968), per infine sciogliersi nel 1972 e parte di esso confluire nel Movimento sociale italiano-Destra nazionale. Insomma, se forse un sentimento monarchico permase ancora per qualche tempo, non si tradusse più, dopo il 2 giugno 1946, in una forza politica di un qualche significativo peso.

Non fu dunque sulla scelta istituzionale che il 2 giugno di 74 anni fa avvenne la vera divisione del popolo italiano, ed anche per questo meriterebbe sottolineare con forza questa data come la festa ufficiale della Repubblica, in quanto assai meno divisiva del 25 aprile, festa della Liberazione dall’occupazione tedesca e della sconfitta definitiva del fascismo risorto a Salò. Il 2 giugno semmai ci fu convergenza su una scelta a favore della democrazia come contenuto e come metodo. Eppure resta da spiegare come mai la successiva storia repubblicana italiana sia stata caratterizzata da momenti di profondissima divisione interna, culminata in un decennio che sarebbe opportuno non dimenticare mai per evitare che possa ripetersi. Parliamo degli anni Settanta, ovviamente. Gli “anni di piombo”, che tali furono realmente. Pochi giorni orsono è stato ricordato l’omicidio del giornalista Walter Tobagi compiuto da un gruppo terroristico di estrema sinistra il 28 maggio di 40 anni fa. Assassini politici per una sorta di guerra civile in servizio permanente effettivo si sono protratti fino al 2002 (assassinio di Marco Biagi da parte delle nuove Brigate rosse). Sotto il drammatico profilo del terrorismo politico interno l’Italia costituisce un caso unico in tutta Europa, se si escludono situazioni dove esistono annosi conflitti con minoranze territoriali secessioniste.

Se anche si volesse omettere questa fase di estrema acutezza della conflittualità intestina, non possiamo negare che gli ultimi trent’anni della nostra storia repubblicana hanno conosciuto una forte polarizzazione che ha impedito, ad esempio, di giungere a riforme costituzionali condivise. Queste ultime, necessarie per alcuni aggiornamenti della macchina decisionale nazionale, sono state impedite proprio dall’impossibilità di superare una concezione che vede l’avversario politico come il nemico con cui non si scende mai a patti. Il fallimento del tentativo di consolidare un bipolarismo fondato sul principio dell’alternanza al governo sta lì a testimoniarlo. Nei fatti, dal 1994 al 2011 si è assistito alla sua sperimentazione, che però è stata raccontata dal sistema massmediatico e vissuta dagli stessi protagonisti politici, oltre che dall’opinione pubblica, come qualcosa di più simile ad una finale resa dei conti che non alla normale dialettica tra maggioranza e opposizione. Abbiamo vissuto circa vent’anni di drammatizzazione estrema del confronto bipolare e l’antiberlusconismo è stato in tal senso il grido di allarme lanciato contro una democrazia che non sarebbe risultata “normale” nell’Italia di quel più recente ventennio. Dal 2013 ad oggi è poi entrato in gioco un confronto tripolare che comunque di recente sta riconvertendosi in bipolarismo bloccato e bloccante rispetto al fisiologico meccanismo dell’alternanza al governo tra maggioranza e opposizione. Come mai tutto questo? Significa forse che su quella democrazia per cui ci si espresse in modo sostanzialmente uniforme e concorde il 2 giugno 1946 esistevano in realtà sotterranee divergenze e silenti ma profonde contrapposizioni?

Ben più di un elemento di risposta in tal senso possiamo adesso trovarlo in un bel volume in uscita tra pochi giorni nelle librerie di tutta Italia, ne è autore Danilo Breschi, professore di storia del pensiero politico presso l’Università degli studi internazionali di Roma (Unint) e componente del CdA della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice. Il titolo di questa ampia e densa ricerca è eloquente: Quale democrazia per la Repubblica? Le culture politiche nell’Italia della transizione 1943-1946, edito dalla Luni di Milano. Dall’8 settembre 1943 al 2 giugno 1946 si è consumata la grande transizione dal fascismo alla Repubblica, dalla dittatura alla democrazia. Un triennio fecondo e decisivo per la futura storia d’Italia, una breve stagione di grande tensione ideale e di enorme fermento ideologico che prepara il dibattito costituente per una nazione e uno Stato da rifondare. Il libro cerca di rispondere ad un interrogativo cruciale, che è il seguente: quante e quali idee, quante e quali immagini di democrazia circolavano nelle famiglie politico-culturali e politico-partitiche nel periodo di transizione dal fascismo alla Repubblica, appunto tra l’estate del 1943 e l’estate del 1946? E ancora: quanto questa democrazia, da tutti o quasi evocata, fosse qualcosa di più della semplice negazione del recente passato, e dunque non soltanto il rovesciamento della dittatura? Quali gli istituti, le procedure e le finalità nelle quali si sarebbe dovuta tradurre la nuova forma di governo democratica?

In un’Italia che oscilla tra guerra e prima ricostruzione, tra paure e speranze, nei circa tre anni che seguono al 25 luglio 1943 assistiamo al libero risorgere e manifestarsi di tutte le famiglie politiche soppresse dopo l’avvento del fascismo al potere. Ad esse se ne aggiungono di nuove, come l’azionismo, la sinistra cristiana e il qualunquismo. L’ideologia che tutte le accomuna è l’antifascismo, ma per alcuni si aggiunge l’anticomunismo, in nome del più generale antitotalitarismo. In tutti i casi, il triennio 1943-46 mostra una ricchezza ideologica quanto mai ampia e consente di cogliere fermenti, idee e proposte riprese subito dopo nell’Assemblea costituente. Fino al 2 giugno 1946 per molti attori presenti sulla scena politica le soluzioni alla crisi aperta dalla fine del fascismo, e poi dalla fine della guerra, erano numerose e tutte possibili. Attraverso un ricco e dettagliato panorama delle idee politiche presenti nell’Italia di quel triennio il nuovo libro di Breschi consente di capire quali fossero i contenuti fondamentali della cultura alla base della nascente Repubblica. Dai primi vagiti di idee e proposte si può intuire lo Stato che sarebbe venuto poi, le eredità che si sarebbe portato dietro e che oggi sono diventati nodi scorsoi da sciogliere per ridare fiato e slancio alla nazione italiana.

Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice

 

L’autore

Consigliere di amministrazione della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, Danilo Breschi è professore associato di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT), dove insegna anche Elementi di politica internazionale e Storia delle culture politiche. È membro del Research Network on the History of the Idea of Europe, del comitato direttivo della «Rivista di Politica» e del comitato scientifico dell’Istituto Storico per il Pensiero Liberale. Fra le sue pubblicazioni: Camillo Pellizzi. La ricerca delle élites tra politica e sociologia (1896-1979) (con G. Longo, Rubbettino 2003); Sognando la rivoluzione. La sinistra italiana e le origini del ’68 (Mauro Pagliai 2008); Spirito del Novecento. Il secolo di Ugo Spirito dal fascismo alla contestazione (Rubbettino 2010); Meglio di niente. Le fondamenta della civiltà europea (Mauro Pagliai 2017); Mussolini e la città. Il fascismo tra antiurbanesimo e modernità (Luni 2019).

Riapertura della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice

La Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice riaprirà al pubblico lunedì 18 maggio, con orario provvisoriamente ridotto: dal lunedì al venerdì ore 10.30-14.30 e il giovedì ore 10.30-18.00 per garantire il rispetto degli standard di sicurezza per dipendenti e studiosi.

L’accesso alla Biblioteca e all’Archivio sarà consentito ad un numero contingentato di persone solamente su appuntamento, che sarà possibile fissare scrivendo via mail agli indirizzi: archivio@fondazionespirito.itbiblioteca@fondazionespirito.it e aspettando di ricevere conferma.

L’attività di riproduzione dei testi è temporaneamente sospesa.
A ospiti e studiosi è fatto obbligo di mantenere comportamenti che garantiscano la sicurezza di tutti: saranno disponibili gel disinfettanti per le mani e le postazioni saranno disinfettate come da disposizione di legge.

All’interno dell’Istituto sarà obbligatorio l’uso della mascherina e il rispetto del distanziamento sociale di almeno un metro.

 

La quarantena da virus nel “Diario della decrescita infelice” di Gianni Scipione Rossi

Dal confinamento obbligatorio nascono anche analisi sul presente e sul possibile futuro, sia pure con qualche difficoltà causata dalle limitazioni imposte anche alla filiera editoriale. Tra le novità, anche questo volumetto pubblicato dal vicepresidente della Fondazione Gianni Scipione Rossi: Cronache del virus. Diario della decrescita infelice, EFG, Gubbio 2020, pp. 124, €10.00. Il ricavato è destinato alla Caritas.

“Questo libriccino – scrive Rossi nell’introduzione – nasce per caso. È figlio della clausura. E di Facebook, la piazza virtuale che malamente sostituisce le piazze reali. Costretto all’isolamento, via via più stringente, ho cercato di fissare in qualche modo pensieri, sensazioni, riflessioni. Che stanno lì, nella bolla del web. E lì potevano finire. Disperdersi. Insieme al ricordo di una stagione triste, che ci ha colpiti singolarmente e collettivamente come non avremmo potuto im- maginare. Anzi, all’inizio, senza capire che cosa sarebbe successo”.

“In molti, durante la quarantena, – scrive l’autore in sede di conclusione – siamo stati costretti a parlarci telematicamente. Si sono fatte lezioni universitarie a distanza, e tante altre belle cose, compresi incontri collettivi per passare il tempo. Skype, Zoom o quel che volete voi sono utili. Ma sono surrogati. E io non voglio vivere di surrogati. C’è il tempo della solitudine, del raccoglimento. E c’è il tempo del confronto. Voglio vedere gente, stringere mani, discutere, litigare… guardando in faccia l’interlocutore. Voglio vivere, insomma. Non passare dall’alienazione di Charlot alla catena di montaggio di Tempi moderni all’alienazione dell’intelligenza artificiale. La quale è, appunto, artificiale”.

Cronache dal virus può essere acquistato richiedendolo a

fotolibri@alice.it

oppure online su

https://www.amazon.it/Cronache-virus-Diario-decrescita-infelice/dp/8885581382/ref=sr_1_6?dchild=1&qid=1592063808&refinements=p_27%3AGianni+Scipione+Rossi&s=books&sr=1-6

https://www.libraccio.it/libro/9788885581388/gianni-scipione-rossi/cronache-del-virus-diario-della-decrescita-infelice.html?fbclid=IwAR01vUkfq2tnCGuU_3Cct3ozUrHFut1-knB5P_JuGn99rMp1KuHc-iagfb8

L’adesione dell’Aici all’appello per il “Fondo per la Cultura”

Il presidente dell’Aici, Valdo Spini, con questa lettera pubblicata il 15 aprile dal “Corriere della Sera”, aderisce all’appello lanciato da quotidiano per la costituzione di un Fondo per la Cultura, a sostegno delle istituzioni messe in grandi difficoltà dall’emergenza. La Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice aderisce all’Aici e concorda con l’iniziativa del suo presidente.

Di seguito la lettera di Valdo Spini.

Caro direttore, le scrivo come presidente dell’Associazione delle Istituzioni Culturali (Aici) forte di 116 soci tra fondazioni e istituti culturali del nostro Paese, che si sono unite in modo del tutto volontario, ma che di fatto coprono larga parte del settore, dall’Accademia della Crusca all’Istituto Italiano per gli Studi Storici, alle varie fondazioni intitolate ai protagonisti delle culture politiche della Repubblica, nonché fondazioni di cultura musicale, filosofica, industriale e identitaria di vari territori della nazione.

Abbiamo letto sul suo giornale dell’appello lanciato da Pierluigi Battista e rilanciato da Federculture e altri organismi del settore, perché in questa drammatica situazione di emergenza si proceda alla costituzione di un Fondo nazionale per la Cultura, uno strumento di investimento garantito dallo Stato, aperto alla partecipazione e ai contributi di tutte le cittadine e di tutti i cittadini.

La cultura, nelle sue differenziate accezioni, è un settore che può particolarmente soffrire sia per le conseguenze del distanziamento sociale che per il venir meno di finanziamenti e mecenatismi.

L’Aici non rappresenta le imprese culturali, bensì le istituzioni di ricerca, di conservazione di beni, di dibattito e di trasmissione di contenuti culturali che operano attraverso archivi, biblioteche, pubblicazioni nonché, spesso, con riviste culturali che molte delle nostre fondazioni editano. Anche queste attività, che hanno trovato peraltro il sostegno del Mibact, sono messe a rischio dalla pandemia Covid-19 e dai suoi effetti.

Per questo solidarizziamo con l’iniziativa e aderiamo alla proposta di un Fondo nazionale per la Cultura non alternativo al finanziamento pubblico (Stato, Regioni, Enti locali) e delle fondazioni bancarie, ma integrativo rispetto a questi e, soprattutto, in grado di mobilitare l’interesse e il concorso di quanti intendano sostenere la cultura italiana. Siamo naturalmente pronti a discuterne i contenuti e le articolazioni.

Valdo Spini

15 aprile 2020

AVVISO AL PUBBLICO EX DECRETO “CORONAVIRUS”

RINVIATE LE INIZIATIVE APERTE AL PUBBLICO PROGRAMMATE PER MARZO

REGOLARE L’ATTIVITÀ DI SEGRETERIA, BIBLIOTECA E  ARCHIVIO

CONFERMATO IL CORSO DI FORMAZIONE

In ottemperanza al decreto governativo relativo alle misure di contenimento e contrasto del cosiddetto “coronavirus”, la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, pur dispiaciuta, ha disposto la sospensione delle iniziative aperte al pubblico programmate in sede.

In particolare è rinviata a data da destinarsi la presentazione del libro di Ester Capuzzo “Italiani. Visitate l’Italia”, in calendario per mercoledì 11 marzo 2020.

È altresì rinviato, in via prudenziale, a data da destinarsi, il convegno su Bettino Craxi: una interpretazione storiografica. Dal Midas alla crisi della “prima Repubblica”, in calendario per mercoledì 25 marzo 2020.

La Fondazione ha disposto che gli uffici resteranno aperti per i servizi di Segreteria, di Biblioteca e di Archivio, ai quali potranno regolarmente accedere gli studiosi secondo gli orari normali. Il corso di formazione è confermato, si svolge in sede, può essere frequentato a distanza, anche in caso di chiusura delle scuole e delle università.

La Fondazione si augura che le misure straordinarie a tutela della salute possano al più presto rientrare.

Sarà cura della Fondazione riprogrammare le iniziative sospese.

Roma, 5 marzo 2020

Il Consiglio di Amministrazione