Perugia, il capodanno perduto del 1947. Una tentata pacificazione tra partigiani ed ex fascisti

di Leonardo Varasano

Il cimitero monumentale di Perugia

Tra le specificità storiche e sociali italiane rientra anche un livello di contrapposizione lacerante e singolarmente alto. La storia d’Italia, a ben vedere, sembra infatti condensare due nazioni, per buona parte ostili nei ricordi e inconciliabili nei progetti. Fattori divisivi di spiccatissima natura politico-ideologica hanno prodotto e perpetuato contrapposizioni in serie. Tutta la vicenda del paese può in fondo essere caratterizzata da una lunga, corrosiva teoria di coppie di opposti: monarchici/repubblicani, laici/cattolici, interventisti/neutralisti, fascisti/antifascisti, comunisti/anticomunisti.

In questa forte propensione alla «divisività» – alla traduzione in forma permanente e patologica delle inevitabili, fisiologichefratture proprie di ogni storia nazionale –, un ruolo di particolare rilievo è rivestito dalla radicale polarità che ha contrapposto fascisti e antifascisti. Anche dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il fascismo è stato a più riprese immaginato come un pericolo incombente: se ne è paventata la possibilità di rinascita, se ne è denunciata la minacciosa sopravvivenza in varî ambiti e in varie forme. Un fatto storico «morto» e «irresuscitabile», limitato – secondo l’interpretazione defeliciana ad un dato momento storico, racchiuso tra il 1919 e il 1945, ha finito per diventare un elemento centrale del discorso pubblico e della mobilitazione politica dell’Italia repubblicana. Non solo: la presunta, ineliminabile perennità del pericolo fascista è riuscita a rendere plausibile una perenne, strutturale necessità dell’antifascismo, legando fascismo e antifascismo in un binomio strettissimo, così largamente accettato da divenire il sostrato di un senso comune di massa. La potenziale, continua sopravvivenza del fascismo, a lungo addebitata anche all’esistenza e al ruolo della Democrazia cristiana, ha dunque portato ad una funzionale necessità dell’antifascismo. Il paradigma fascismo/antifascismo è stato, a ben vedere, il paradigma ideologico originario della Repubblica, in grado di resistere e rinnovarsi nel tempo. Con esiti divisivi,dolorosi e, come ha rilevato Francesco De Gregori, decisamente parossistici: il nostro paese ha ancora «un grosso problema a parlare di fascismo» – così si è espresso il cantautore romano, nel 2016, intervenendo alla presentazione del volume Mio padre era fascista, di Pierluigi Battista – perché «da noi la riconciliazione non c’è ancora stata» e «persino a una riunione di condominio se a uno gli gira, può dare a un altro del “fascista” usando quel termine come un insulto».

La tenace difficoltà del discorso pubblico italiano a storicizzare il Ventennio, è un tema di persistente attualità. Da più parti si continua a pensare secondo la dicotomia fascismo/antifascismo, nel solco di una strisciante, irriducibile guerra civile della memoria. Eppure questa lacerante contrapposizione tra antifascismo e fascismo (inteso, nel tempo, in una serie di significati enormemente dilatati e metapolitici) avrebbe potuto ben presto essere se non superata almeno attutita, in modo tale da provocare un’eco meno duratura e meno dannosa. Ci fu infatti chi, nell’immediato dopo guerra, tentò una sollecita pacificazione, un avvicinamento di buon senso nel nome della nazione italiana, dell’ideale risorgimentale e delle necessità della ricostruzione. Forse – si può pensare – non si sarebbe assistito ad unaimmarcescibile contesa ideologica, se solo si fosse dato seguito e concretezza ad una piccola-grande iniziativa, finora dimenticata e nascosta dalla polvere, avvenuta nell’immediato dopoguerra in quella che era stata la “capitale della rivoluzione fascista”, la città fascistissima per eccellenza da cui era partita la marcia su Roma. Forse, nel 1947, un lungo, complesso e doloroso capitolo di storia italiana avrebbe potuto chiudersi proprio a Perugia, proprio nello stesso luogo in cui era stato concretamente aperto nel 1922. Forse avrebbero potuto prevalere le ragioni della fraternità, della riconciliazione, dell’unione nel nome della Patria. Forse. Non è dato sapere: si tratta solo di un’ipotesi controfattuale, poiché la vicenda italiana ha avuto, com’è noto, un’evoluzione diversa, vivendo nel solco del binomio fascismo/antifascismo. Le buone intenzioni – manifestate in una temperie storica avvelenata dai frutti amari della dittatura e della morte della patriafallirono. Cionondimeno quell’episodio che poteva contribuire a cambiare il corso degli eventi merita di essere conosciuto, ricordato, compreso nelle ragioni profonde. Quelle sì, immortali.

1. «Gli italiani agli italiani», una corona di alloro simbolo di fraternità e amor patrio

All’alba del 1947, con l’Italia ancora ricoperta di macerie fumanti, lacerata nello spirito e nella carne, Perugia fu teatro di un singolare e positivo esperimento di riconciliazione tra partigiani ed ex fascisti, oggi presso che misconosciuto.

A prendere l’iniziativa furono Corrado Sassi classe 1923, antifascista, il partigiano “Zuavo” della banda “Francesco Innamorati” operante nei boschi sopra Deruta e l’ex combattente della Repubblica sociale italiana Bruno Cagnoli, uomo dall’«intelligenza acuta e sensibile». A soli venti mesi dalla fine della Seconda guerra mondiale, con la prospettiva di una difficile ricostruzione affidata al primo governo De Gasperi un governo di unità nazionale di cui ancora facevano parte Dc e Pci insieme , i due giovani, all’insaputa di tutti i partiti, ma con l’indirettosostegno di altri uomini di buona volontà, promossero una manifestazione semplice e clamorosa al contempo. Nel primo, freddo giorno del 1947, quasi a simboleggiare l’inizio di una nuova era, una cesura della Storia, un centinaio di perugini «che fino al giorno prima si sarebbero volentieri sbudellati l’un l’altro», decise di lasciarsi alle spalle il fardello dei rancori, si radunò in piazza Piccinino, nel cuore del capoluogo umbro, e di lì, in rigoroso silenzio, raggiunse il cimitero monumentale. Arrivati al camposanto, partigiani ed ex fascisti parteciparono ad una Messa di suffragio officiata da Padre Angelini; poi raggiunsero il monumento ai caduti di tutte le guerre e lì deposero una corona di alloro, con nastro tricolore, recante la significativa scritta, a caratteri d’oro, «Gli Italiani agli Italiani»; quindi sostarono per un po’, muti, «davanti a molte croci» di entrambe le fazioni politiche, prima di coprire la ghirlanda funebre con una bandiera nazionale. La cerimonia, arricchita dai discorsi di Luigi de Florentis per i partigiani e di Mario Fettucciari per gli ex fascisti, fu infine suggellata da una solenne stretta di mano con cui i componenti delle due schiere cessarono di essere nemici per diventare semplicemente avversari. […]

Leonardo Varasano, Il capodanno perduto del 1947. Una tentata pacificazione tra partigiani ed ex fascisti nel nome degli ideali risorgimentali

Il testo completo del saggio in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, n. 1, a. 2019, nuova serie, a. XXXI, pp. 191-206

 

Geopolitica e “interesse nazionale”

Alessandro Aresu, Luca Gori, L’interesse nazionale: la bussola dell’Italia, il Mulino, Bologna 2018

//È apparso nelle librerie il volume L’interesse nazionale: la bussola dell’Italia, pubblicato dalle edizioni Il Mulino e realizzato con il contributo di un analista e consigliere scientifico di Limes, Alessandro Aresu, e di un diplomatico di carriera, Luca Gori, che hanno analizzato il problema, sottolineando le difficoltà che si incorrono nel promuovere l’argomento e ricordando come sia assolutamente necessario superare questo limite di fronte a un ritorno del tema nelle agende governative e nel dibattito pubblico internazionale.
Dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della Guerra fredda in Italia, come nel resto del mondo, abbiamo assistito a un rinnovato interesse nei riguardi dell’idea di nazione, sia nella sua proiezione interna che nella sua proiezione internazionale. Il nuovo scenario internazionale geopolitico e geo-economico ha imposto agli Stati di ricercare la propria identità nazionale e di definire i propri interessi e le proprie priorità.
In Italia, lo studio di un tema complesso come quello dell’interesse na- zionale, è emerso dopo la pubblicazione di un discreto numero di saggi e di volumi sull’argomento iniziata agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso sull’onda di un convegno, che si tenne a Trieste nel 1994, organizzato da Giovanni Spadolini e con la partecipazione, fra gli altri, di Renzo De Felice, Ernesto Galli Della Loggia, Emilio Gentile e Arduino Agnelli. Si discusse non soltanto di nazione e delle sue diverse valenze e declinazioni, ma si cerco’ di fare il punto anche sul tema della “morte della patria”.
Nel 1996 e nel 1997, si sono tenuti due Convegni, con la pubblicazione degli Atti, che videro impegnati studiosi ed esponenti di vari settori, dai politologi agli economisti, dai politici agli esperti strategici.
Sempre nel 1997, venne editato il volume di Galli Della Loggia La morte della patria e un libro-intervista a De Felice, Rosso e Nero, che analizzava fra i molti temi quello della crisi dell’idea di nazione.
Ancora nel 1997, Carlo Jean si occupò dell’argomento in uno studio sulla geopolitica, inserendo il tema nei capitoli riguardanti “L’interesse nazionale”. A partire dal nuovo secolo, l’argomento ha interessato ancora Jean, che ha inserito il tema nel quadro della geopolitica attuale di crisi del sistema unipolare a conduzione statunitense, in quella che viene definita la geopolitica del caos, immettendola nel contesto delle strategie di sicurezza nazionali e di riscoperta dello Stato-nazione. […]

Andrea Perrone 

Il testo completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2018, XXX

Italia e Israele, storia di un rapporto complesso

Mario Toscano (a cura di), L’Italia racconta Israele 1948-2018, Viella, Roma 2018

È ben condivisibile l’auspicio del curatore Mario Toscano <che questo volume possa essere la base per ulteriori ricerche, volte ad ampliare la conoscenza di un capitolo della storia italiana recente e dei dibattiti appassionati svoltisi su un tema delicato> (p. 13). Perché un tema così delicato, e cioè come la politica, la stampa, la cultura italiana si siano rapportate alla nascita dello Stato d’Israele e alla sua storia ormai settantennale, merita più di una sia pur pregevole raccolta di saggi fatalmente orfani di un approccio organico. Il tema è infatti quanto mai complesso, alla luce dell’atteggiamento ondivago che politica, stampa e cultura hanno tenuto, nel loro complesso e spesso in palese e vivace dissenso, nei confronti della patria ebraica. Un atteggiamento che è via via cambiato col mutare del contesto internazionale e dell’orientamento politico delle leadership israeliane, per non dire della percezione della Shoah e delle leggi antiebraiche del 1938. Così, quando Israele nasce e sembra porsi in stretta relazione con il blocco sovietico, le sinistre italiane lo vedono con estremo favore, mentre Dc e moderati sono condizionati dall’atlantismo. Poi, di lustro in lustro, gli accadimenti determinano evoluzioni diverse, ferma restando la persistente linea filoaraba (con le eccezioni del caso) della politica estera italiana, almeno fino agli anni Ottanta del secolo scorso. Gli autori colgono e spiegano i mutamenti intorno alle date topiche, dal 1951 al 1967 (quando il Pci si schiera contro Israele), e poi al 1982, con l’invasione del Libano disposta dal premier del Likud Menachem Begin. Una svolta, questa, che determina conseguenze ancora non rimosse in una pubblicistica che tende a considerarla come conseguenza naturale della guerra dei sei giorni. Mentre viene rimosso, come nota Alberto Cavaglion, <Quello che è accaduto fra il 1948 e il 1967 [], nel quadro di un’analisi che estende la “brutalità” della politica israeliana a tutto il periodo precedente> (p. 197). Con gli inevitabili limiti d’insieme, il volume presenta saggi accurati che ben illustrano le posizioni dei diversi schieramenti politici e ambienti culturali italiani, con una eccezione difficilmente comprensibile, che riguarda il versante della destra. Guri Schwarz lamenta l’assenza di <studi approfonditi e seri> (p. 155n)) sull’evoluzione del postfascismo finiano su questi temi. C’è del vero, ma nel volume manca qualsivoglia riferimento anche alle posizioni della destra precedente al biennio 1993/1994, forse perché ritenuta politicamente ininfluente, il che – per alcuni periodi – non corrisponde storiograficamente al vero.

Un lavoro più organico non potrebbe che tener conto non solo del citato La destra e gli ebrei di Gianni Scipione Rossi (Rubbettino, Soveria Mannelli 2003), ma almeno della ricerca condotta da Marco Francesconi sui periodici conservati nella emeroteca della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice (Il Movimento Sociale Italiano e il conflitto arabo-israeliano 1946-1973, Europa Edizioni, Roma 2017), e del saggio di Giuseppe Parlato, Neofascismo Italiano e questione razziale, in G. Resta, V. Zeno-Zencovich (a cura di), Leggi razziali. Passato e presente, RomaTre-Press, Roma 2015.

da “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, n.1, 2019 (nuova serie), a. XXXI

1948. Gli italiani nell’anno della svolta

Mario Avagliano, Marco Palmieri, 1948. Gli italiani nell’anno della svoltail Mulino, Bologna 2018//

Il  gennaio del 1948 entra in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana. Frutto di un laborioso compromesso tra le forze politiche che avevano partecipato al Comitato di Liberazione Nazionale e ai primi governi dopo il periodo badogliano, rappresenta simbolicamente una svolta definitiva nella storia nazionale. Il 2 giugno del 1946 era stata eletta l’Assemblea Costituente e, con il referendum istituzionale, dal sistema monarchico si era passati a quello repubblicano. Dopo le presidenze del Consiglio di Ivanoe Bonomi e Ferruccio Parri la guida del governo era stata assunta dal leader democristiano Alcide De Gasperi. La fase transitoria della Repubblica si era conclusa. Le prime elezioni politiche furono dunque fissate per domenica 18 e lunedì 19 aprile. <Sono state un passaggio epocale – sottolineano Avagliano e Palmieri -, dall’esito tutt’altro che scontato> (p. 7). Se invece del blocco moderato e filo-occidentale avesse prevalso il blocco socialcomunista, l’Italia avrebbe imboccato una strada tutt’affatto diversa, che è anche difficile immaginare.

Al termine di <quella che può essere considerata la più accesa campagna elettorale della storia nazionale> (p. 7), l’Italia entrò a pieno titolo e senza dubbi, nel clima internazionale della “guerra fredda”, nell’area geopolitica liberaldemocratica, pur inaugurando la sua specifica anomalia politica, e cioè la presenza di un forte Partito Comunista, che nei fatti impedì l’alternanza tra due formazioni contrapposte, dando vita alla cosiddetta democrazia bloccata. Una anomalia che ha condizionato i decenni successivi. Ma in quale clima, con quali strumenti, con quali aspirazioni il popolo italiano visse lo scontro epocale del 18 aprile? A questi interrogativi rispondono gli autori in maniera esauriente ed efficace grazie a grande lavoro di scavo negli archivi pubblici e privati, utilizzando documenti, memorie, interviste, lettere. Ne deriva una densa e in qualche modo affascinante fotografia di un’epoca lontana, contrassegnata da scontri ideologici oggi impensabili. L’esito del 18 aprile non era già scritto, nonostante il sostegno americano e l’impegno della gerarchia cattolica a favore della coalizione centrista.

In quest’ottica, ampio spazio è giustamente dato all’attentato del 14 luglio contro il leader comunista Palmiro Togliatti. Il clima sociale e politico divenne incandescente. Una crisi generale, se non la rivoluzione, sembrò imminente. Ma Togliatti, il Pci e l’Unione Sovietica volevano realmente trasferire l’Italia nel blocco moscovita? E che cosa sarebbe avvenuto sul piano internazionale? E, soprattutto, come vissero questo momento gli italiani? Certo è che la Dc e i suoi alleati centristi furono in condizione, superata la crisi, <di avviare nel concreto la ricostruzione materiale, economica, sociale, politica e culturale del paese, sulla base dei valori del proprio mondo di riferimento> (p.367). Una storia che ha i colori del dramma, raccontata con rigore scientifico e grande maestria.

da “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, n. 1, 2019 (nuova serie), a. XXXI

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Sabato 10 dicembre alle ore 16, presso la Sala del Consiglio Comunale di Arezzo, la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice ha organizzato un incontro per le celebrazioni del 120° anniversario della nascita di Ugo Spirito (Arezzo 1896 – Roma 1979).

L’incontro è stato così articolato:

Saluto del sindaco Alessandro Ghinelli.

Introduzione del consigliere comunale Roberto Bardelli

Interventi di:

Rodolfo Sideri (Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice), “Guerra rivoluzionaria”

Danilo Breschi (Università degli Studi Internazionali di Roma), “Il rapporto con il fascismo”

Marco Zaganella (Università degli studi dell’Aquila), “I viaggi all’estero (Germania, Urss, Cina)

Simone Misiani (Università di Teramo), “Il corporativismo”

Alessandra Cavaterra (Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice),  “L’Enciclopedia Italiana”

Giuseppe Parlato (Università degli Studi Internazionali di Roma), “Il secondo dopoguerra”

Ha moderato Barbara Perissi, giornalista

Giuseppe Parlato, Aldo Rozzi Marin (a cura di), “Il ruolo delle associazioni dei migranti. I casi di eccellenza del Veneto” [2010], Euro 12,00

Il volume raccoglie gli Atti del Convegno “Il ruolo delle associazioni dei migranti. I casi di eccellenza del Veneto”, organizzato a Teolo il 30-31 ottobre 2009 con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri ed in partnership con l’Associazione Veneti nel mondo onlus. Il Convegno aveva approfondito il ruolo giocato dalle associazioni di migranti venete nel mantenere saldo il legame tra gli emigrati e la madrepatria e nel valorizzare questo senso di appartenenza trasformandolo in una opportunità di crescita economica per lo stesso Veneto.

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Francesca Garello, Lucia R. Petese (a cura di), “Guida ai fondi archivistici della Fondazione Spirito” [2003], Euro 7,50

Per aiutare gli studiosi ad orizzontarsi all’interno della vasta documentazione archivistica posseduta dalla Fondazione Spirito, si è ritenuto utile compilare una guida dei fondi archivistici presenti nell’Istituto e attualmente disponibili alla consultazione.
In questa guida non vengono presentati gli inventari, i quali necessitano è ovvio di una trattazione più specifica e per i quali si rimanda alle pubblicazioni monografiche della Fondazione nella collana “Carte ‘900”.

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Franco Tamassia (a cura di), “L’opera di Ugo Spirito. Bibliografia” [1986], Euro 28,00

L’opera raccoglie l’elenco pressoché completo degli scritti di Ugo Spirito dall’inizio della sua attività scientifica fino al 1979. Il volume è concepito in modo da permettere agli studiosi di individuare i diversi contesti in cui le singole relazioni e saggi sono stati presentati. Infatti le indicazioni dei testi pubblicati in diverse occasioni compaiono più di una volta quando si tratti ad esempio di una relazione congressuale; in questo caso l’indicazione si riferisce sia alla data in cui venne esposta sia alla data in cui venne pubblicata.

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