Un geografo sul campo di battaglia

Ernesto Massi

di Lorenzo Salimbeni

//Già docente di Geografia economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (quasi in continuità con la sua frequentazione universitaria della Fuci dell’ateneo triestino) e presso la Regia Università di Pavia, nonché fondatore assieme al collega Giorgio Roletto di Geopolitica. Rassegna mensile di geografia politica, economica, sociale, coloniale (1939-1942), Ernesto Massi partì comunque volontario nella Seconda guerra mondiale. Rientrato nei ranghi del Regio esercito come Tenente di complemento di fanteria (specialità Bersaglieri), svolse soprattutto un apprezzato lavoro informativo nell’ambito degli uffici “I”, distaccati presso lo Stato maggiore delle grandi unità, mettendo a disposizione la sua vasta cultura, le sue competenze linguistiche (nato nel 1909 nelle terre irredente asburgiche da padre croato, svolse le scuole elementari a Graz in Austria) e le conoscenze affinate nell’ambito di specifici corsi di formazione per i militari afferenti al Servizio informazioni militare (Sim).
Il suo primo ambito di impiego nel 1941 fu lo Stato indipendente croato, assurto all’indipendenza sotto l’egida del Poglavnik degli Ustaša Ante Pavelić, ma ben presto diventato teatro di immani carneficine perpetrate dalle milizie ultranazionaliste croate a danno di serbi, zingari ed ebrei. I resoconti settimanali ed alcune schede specifiche custoditi nell’archivio della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice all’interno del Fondo Massi mettono in evidenza la sua conoscenza del territorio, della lingua e delle caratteristiche delle popolazioni autoctone, nonché la sua capacità di analizzare la difficile situazione politica locale. In effetti l’esercito italiano in Jugoslavia aveva schierato numerosi soldati ed ufficiali bilingui, spesso con cognomi di chiara origine slava, croati e sloveni del confine orientale (correndo il rischio che disertassero) oppure totalmente italianizzati anche da molte generazioni (quasi in analogia con le elite croate austriacizzate): le autorità di Zagabria chiesero l’allontanamento di alcuni di questi ufficiali, arruolati nella divisione Sassari, per manifesto anticroatismo1.
Nel frattempo la rivista Geopolitica cominciava ad affrontare con frequenza tematiche attinenti i Balcani, la Croazia e le possibilità di sviluppo italiano nell’Europa orientale. Meno corposo risulta il materiale inerente le successive destinazioni del fondatore della geopolitica italiana, vale a dire il fronte russo e siciliano, ambiti nei quali alle attività di ufficio accostò un maggiore impegno in prima linea, come si può anche evincere dalle decorazioni militari conseguite.

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Il saggio completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2016-2017, XXVIII-XXIX, pp. 115-142.

La centralità geopolitica di Trieste negli studi di Giorgio Roletto ed Ernesto Massi

di Michele Pigliucci

//La regione geografica dell’Adriatico settentrionale è una delle zone maggiormente interessanti per quanto riguarda lo studio del territorio e della distribuzione dei popoli. Essa, infatti, nella storia dell’uomo è sempre stata attraversata da diversi confini politici, il cui mutamento nei secoli ha raccontato, e condizionato, l’alterna evoluzione delle dinamiche umane, facendone il terreno di un confronto più o meno aspro fra popolazioni differenti per lingua, cultura e provenienza, che la storia nei secoli ha spinto fino a questo crocevia, facendo di esso uno snodo di primaria importanza in quanto limite orientale della diffusione dei popoli latini, confine meridionale dell’espansione dei popoli germanici e occidentale per i popoli slavi. Queste tre espansioni hanno scelto per differenti motivi queste direzioni: a un’antica presenza latina nella direttrice orientale si è andata sommando una penetrazione germanica in cerca di uno sbocco sul Mediterraneo, a cui si è aggiunta la manodopera agricola slava che, diffusa sul territorio, ha assunto nel tempo consapevolezza nazionale.
La diffusione dei tre ceppi etnici su questo territorio non è mai riuscita a risolversi in maniera definitiva: se la penetrazione germanica è stata discontinua e periodica, l’elemento latino ha privilegiato l’occupazione delle città della costa mentre gli slavi, prevalentemente contadini, si sono sparpagliati nell’agro (Bonetti, 1964). Questa differente distribuzione dipende in ultima analisi da un diverso approccio culturale che avrebbe poi condizionato le tensioni per il controllo della regione: se gli italiani sono portati a ritenere che la campagna segua il destino della città, viceversa gli slavi e i germanici tendono a considerare l’agro il vero centro del territorio.

La situazione di Trieste, inoltre, è complicata dalla netta separazione fra l’entroterra e il litorale, causata dall’aspra conformazione orografica del Carso immediatamente alle spalle della città. Questa particolarità fu ad un tempo la causa e l’effetto dell’incapacità di affermazione, per un periodo significativo, da parte di un potere centrale in grado di imporre unità culturale e territoriale alla regione e di condizionare così sostanzialmente e definitivamente lo sviluppo umano. Al contrario l’assenza di una barriera naturale ben riconoscibile permise il continuo spostamento delle frontiere secondo le contingenze storiche. In particolare durante le invasioni barbariche dell’alto medioevo questa regione si rivelò sostanzialmente inadatta a ricoprire il ruolo di limes militare che la geografia politica le attribuiva: fortificata con alti valli, fu violata ripetutamente fino a costringere i Longobardi a porre la propria linea difensiva su quello che diverrà il limes longobardicus, il limitare cioè fra la pianura friulana e le Prealpi Giulie. Questa linea amministrativa e militare è di grande significato perché rappresenterà da allora, almeno nella sua parte settentrionale, un confine etnico abbastanza netto fra i popoli di diritto latino e gli sloveni e croati, i primi penetrati nella zona delle Prealpi Giulie al seguito dei Longobardi, i secondi importati nella penisola istriana dai bizantini come coloni. Questa sostanziale chiusura del confine agevolò lo sviluppo di una centralità della zona costiera giuliana, che mantenne nei secoli la propria funzione di collegamento fra mondo germanico e mare Adriatico.

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Il saggio completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2016-2017, XXVIII-XXIX, pp. 45-69.

“D’Annunzio torna a Pescara”: convegni, musica, teatro dal 7 al 15 settembre

Nel centenario dell’impresa fiumana, dal 7 al 15 settembre 2019, la città natale di Gabriele D’Annunzio ospita la manifestazione “D’Annunzio torna a Pescara – La Festa della Rivoluzione”. In programma concerti, recital, mostre e convegni per ricordare e riflettere a 360 gradi sull’opera del poeta.

La Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice sarà presente con il presidente Giuseppe Parlato, che domenica 15 settembre parteciperà al convegno “100 anni dall’Impresa di Fiume”, con Giordano Bruno Guerri, Claudia Salaris e Stefano Trinchese (Aurum, ore 17.3O).

Martedì 10 settembre il Florian Metateatro Centro di Produzione Teatrale di Pescara, presenterà il recital  Tutto fu ambito e tutto fu tentato”, di Giulia Basel, con la consulenza del vicepresidente della Fondazione, Gianni Scipione Rossi (Aurum, ore 21.00).

Il programma completo in www.dannunzioweek.it

La rivista “Geopolitica” e la questione delle terre irredente tra ambizioni scientifiche, politiche e territoriali

di Arrigo Bonifacio

//Nel gennaio del 1939 uscì il primo numero di “Geopolitica. Rassegna mensile di geografia politica, economica, sociale, coloniale”, rivista fondata dai geografi Ernesto Massi e Giorgio Roletto grazie all’appoggio politico e materiale del ministro per l’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai. Il principale obbiettivo scientifico di “Geopolitica” era quello di strutturare un approccio italiano all’omonima disciplina – la geopolitica – affermandone lo status scientifico come disciplina geografica. La rivista aveva però anche degli obbiettivi di natura politica, ed in particolar modo ambiva a fare della geopolitica «una base dottrinaria della politica estera fascista». Svariati studi hanno evidenziato come globalmente “Geopolitica” fosse principalmente espressione della peculiare realtà politico-culturale della città di Trieste, presso il cui Ateneo era inserito quell’Istituto di Geografia, sede della Direzione della rivista, dove insegnava il piemontese Giorgio Roletto e dove si era formato accademicamente l’altro condirettore di “Geopolitica”, Ernesto Massi, geografo triestino che per primo aveva “importato” in Italia la geopolitica, disciplina che fino a quel momento si era sviluppata soprattutto in Germania.

Presso il medesimo Istituto erano poi attivi numerosi altri redattori e collaboratori della rivista, quali Eliseo Bonetti, Livio Chersi, Renata Pess, Carlo Schiffrer e Dante Lunder. Ad ogni modo collaborarono con “Geopolitica” «tutti i geografi [italiani] dell’epoca»: la creatura di Roletto e Massi era dunque dotata di una rete ben ramificata anche al di fuori dell’Istituto di Geografia dell’Università di Trieste e si estendeva un po’ a tutto il Regno, per farsi però particolarmente fitta a Milano e a Pavia, dove Ernesto Massi era docente di Geografia Politica presso l’Università Cattolica di Milano e la Regia Università di Pavia.
La rete di “Geopolitica” non era tuttavia di natura esclusivamente accademica: Massi e Roletto erano infatti vicini sia all’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (d’ora in avanti ISPI), istituzione notoriamente vicina agli ambienti del Ministero degli Affari Esteri, sia alla Scuola di Mistica Fascista Sandro Italico Mussolini. Per comprendere la vicinanza di Massi e Roletto a questi due enti, entrambi nati negli ambienti dei Gruppi Universitari Fascisti (d’ora in avanti GUF) milanesi e pavesi, basti ricordare che entrambi i direttori di “Geopolitica” erano anche collaboratori di “Dottrina Fascista”, la rivista della Scuola, mentre per quello che riguarda l’ISPI i rapporti furono così stretti che per anni si vagliò l’ipotesi di creare presso l’Istituto di Geografia dell’Ateneo giuliano una sede distaccata dell’ente milanese.

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Il testo completo del saggio in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2016-2017, XXVIII-XXIX, pp. 9-43.

Ugo Spirito. L’uomo la cui filosofia incarnò lo spirito del Novecento

di Danilo Breschi

//Ugo Spirito è stato un filosofo molto apprezzato, molto studiato e molto amato (specialmente dai suoi studenti) in Italia e in Europa fino al 1979, anno della sua morte. Piuttosto che un successo postumo, com’è il caso di Nietzsche ad esempio, a Spirito è toccato in sorte un grande, enorme successo in vita. È stato un filosofo la cui fama è persino cresciuta nel dopoguerra repubblicano e antifascista, nonostante fosse stata già consistente durante il periodo tardo-monarchico e fascista, quando egli assurse in certi momenti a “consigliere del Principe”, grazie al ruolo di intellettuale di riferimento, per l’ala movimentista e “rivoluzionaria”, riconosciutogli da Giuseppe Bottai soprattutto nei primi anni Trenta e nei primi anni Quaranta. Spirito non abbandonò mai le speranze di un rivoluzionarismo fascista sino alla vigilia del crollo del regime mussoliniano (25 luglio 1943), a dispetto di quanto ebbe sempre a ricordare e poi a scrivere perentoriamente nelle sue Memorie di un incosciente, sorta di testamento spirituale pubblicato un paio d’anni prima della morte.
“Spirito del Novecento”: così recitava il titolo della monografia che nel 2010 ho dedicato all’analisi del filosofo aretino. Il gioco di parole era cercato ben oltre l’intento ludico. Intendeva indicare l’essenza della figura di Spirito, il suo carattere paradigmatico. Riassunse nella sua vita e nella sua opera, che hanno anagraficamente attraversato ben tre quarti dell’intero Novecento, il ruolo e la natura dell’intellettuale-ideologo nel corso di quello che è stato, per eccellenza, il secolo delle ideologie e delle rivoluzioni. Spirito e il Novecento sono stati specchio l’uno all’altro. L’uno, il filosofo di quel determinato secolo e la sua autocoscienza, l’altro, il campo di sperimentazione e la fonte di ispirazione del pensatore che, più di molti altri, ne è stato un fedele interprete. Fu il coerente portavoce di un secolo apparentemente incoerente, ma che proprio grazie a filosofi come Spirito si rivela permeato di una logica più lineare di quanto si possa pensare, tale per cui la prima metà del Novecento spiega gran parte della seconda. Ed un simile ragionamento vale per il mondo intero, e non soltanto per l’Europa. Si è infatti passati dall’imperialismo alla globalizzazione, in politica internazionale. Dall’irrazionalismo al post- modernismo, in filosofia. Dall’euforia smisurata alla depressione cronicizzata, nella psicologia collettiva delle società occidentali. Sempre e comunque, forme di nevrosi. Dalla presunzione di sapere, e potere, tutto, all’incoscienza, e impotenza, altrettanto totali.
Il fatto che la morte di Spirito, avvenuta il 28 aprile 1979, abbia sostanzialmente coinciso con la progressiva marginalizzazione della sua opera, nonostante l’encomiabile attività scientifica della Fondazione ad egli intitolata, che fu ben presto istituita e che negli anni Novanta fu presieduta da uno storico di larga fama come Renzo De Felice, sta a significare una sola cosa: che il Novecento è finito in anticipo. Finito come secolo delle religioni politiche e del messianismo rivoluzionario. Negli anni Ottanta iniziava a muovere i suoi primi passi tutta un’altra storia. Non per questo il Novecento è stato un “secolo breve”. Al contrario: era iniziato molto prima, probabilmente nel 1789. Ma terminò, sotto questo profilo, nel 1989, esattamente duecento anni dopo.
In tal senso Francis Fukuyama andrebbe riabilitato rispetto alle semplicistiche interpretazioni che tuttora lo liquidano come l’ingenuo portavoce dell’ottimismo reaganiano e liberista. Interpretazioni che sospetto siano il frutto di una mancata lettura e di un pregiudiziale sentito dire.

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Il testo completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. XXX, 2018, pp. 121-132.

La guerra rivoluzionaria di Ugo Spirito

L’inedito pubblicato nel 1989

di Rodolfo Sideri

//Nel suo Diario 1935-1944, Bottai racconta che il 29 novembre 1941, Mussolini gli restituì un dattiloscritto di Spirito intitolato Guerra rivoluzionaria, esprimendo un giudizio sostanzialmente critico: «Lo trova intelligente, ma contraddittorio» per la distinzione borghesia-proletariato e indicava il punto debole della tesi laddove, riconosciuta l’ineluttabilità dell’egemonia tedesca, additava all’Italia il compito di mitigarla in un teatro bellico dove i metodi tedeschi – diceva Mussolini – erano sotto gli occhi di tutti e l’Italia arrancava dietro l’alleato. Era significativo che il testo di Spirito fosse presentato al Duce da Bottai, mentore del filosofo insieme a Gentile, o addirittura sia stato da lui commissionato. Il gerarca era colui che maggiormente si stava spendendo, tanto con la sua azione di ministro dell’Educazione Nazionale quanto come direttore di «Critica fascista» e «Primato», per coinvolgere e mobilitare gli intellettuali. Un’azione che richiedeva di spostare sul terreno culturale il conflitto in atto e quindi ideologizzarlo e trasformarlo in un cambiamento storico che era compito degli intellettuali discutere se non determinare.

Giuseppe Bottai

Ugo Spirito era forse l’esempio paradigmatico di come Bottai intendesse la figura dell’intellettuale, costantemente volto a dare all’analisi dei fenomeni storico-politici in atto un’impostazione idealistica. Del resto, lo stesso Spirito, nella sua autobiografia intellettuale, afferma che il fascismo «non spunta all’improvviso come un fungo imprevisto, ma è il frutto di un lungo processo […]. Possiamo dire che le sue radici sono nei principi del nuovo idealismo italiano, in antitesi col vecchio positivismo». Addirittura, la fondazione del fascismo viene dal filosofo retrodatata al gennaio 1918, quando Giovanni Gentile iniziava la docenza all’università di Roma con la precisa intenzione di educare i suoi studenti alla coscienza storica del passato della storia nazionale e alle esigenze del presente, in modo da consentire loro di sviluppare la fede nell’idea di nazione, fuoriuscendo dall’inautenticità di una vita dominata dall’egoismo e dall’utilitarismo individuale. Anche per Spirito, dunque, il fascismo non era derubricabile a mera reazione alle violenze del biennio rosso, rappresentando piuttosto un’esigenza storica della vita nazionale. Spirito non ripudia l’entusiastica adesione a questo fascismo, nutrito di idealismo e validato da una riforma della scuola che diede all’idealismo una sorta di monopolio ideologico all’interno della nuova èra che si apriva. Le cose cominciarono a cambiare con i Patti Lateranensi, in virtù dei quali «l’attualismo veniva negato in forma perentoria e a tempo indeterminato>.

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Il saggio completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. XXX, 2018, pp. 95-110.

 

Gli intellettuali italiani e l’antisemitismo

La prima edizione
De Silva, 1947

di Gianni Scipione Rossi

La percezione riluttante
Se volessimo dare una definizione sintetica degli intellettuali italiani di fronte all’antisemitismo e alle leggi razziali basterebbe catalogarli con tre parole: gli antisemiti, gli opportunisti, gli indifferenti. Naturalmente la questione è molto più complessa, forse anche più complessa di quella, connessa ma non sovrapponibile, dell’atteggiamento degli intellettuali italiani nei confronti del regime fascista, sulla quale tanto si è scritto. A sua volta, anche tale questione si intreccia con il tema più generale degli italiani di fronte al fascismo e alle leggi razziali.
È nota l’analisi di Renzo De Felice sulla percezione della svolta razzista del regime fascista. Una svolta che – rileva il biografo di Mussolini – fu «accolta dalla gran maggioranza degli italiani e degli stessi fascisti con perplessita’ e molto spesso con ostilità». E che tuttavia non determinò un generale o almeno percepibile distacco dal fascismo. «Per quanto grave, la lacerazione prodotta dalla legislazione antisemita – sottolinea lo storico reatino – fu, tutto sommato, dal punto di vista del “consenso”, meno decisiva di quanto talvolta viene affermato». Di «quelle leggi – concorda Tullia Zevi – la popolazione in un primo tempo non percepì la gravità».  Per il secondo tempo si dovrà attendere ben oltre la fine della guerra.
Sarebbe improprio affermare che la consapevolezza della Shoah si diffonda con le prime immagini dei campi di sterminio nazisti proiettate dall’americano Psychological Warfare Branch nei cinematografi romani nel 1945. Ancor più improprio sarebbe sostenere che quelle immagini abbiano determinato negli italiani una consapevolezza diffusa delle conseguenze ultime delle leggi antiebraiche del 1938. Né incise, nel 1947, la prima edizione di Se questo è un uomo di Primo Levi, rifiutata da Einaudi su suggerimento di Natalia Ginzburg e Cesare Pavese, e pubblicata quasi clandestina da un piccolo editore di Vercelli.

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Lo scivoloso crinale tra pregiudizio diffuso e antisemitismo reale
Se fosse disponibile un algoritmo capace di scandagliare l’intera letteratu- ra italiana della prima metà del Novecento, ma anche memorie, diari e carteggi inediti, l’elenco delle affermazioni imputabili o sospettabili di tradire un pregiudizio antisemita sarebbe probabilmente interminabile. Esiguo, al contrario, sarebbe quello delle affermazioni volte a contrastare l’antisemitismo, sia culturale sia politico. Avrebbe una utilità questa classificazione? Sì, se utilizzata per comprendere appieno un clima. Molto meno se si trasforma in un processo alle intenzioni, come se ogni affermazione possa ritenersi prodromica delle leggi antiebraiche o – addirittura – della Shoah, inevitabile e consapevole terreno di coltura della persecuzione. Potrebbe naturalmente spiegare l’indifferenza diffusa, che negli intellettuali talvolta si trasforma in attiva e opportunistica partecipazione alla campagna razzista di fine anni Trenta. È comunque opportuno tenere a mente l’ammonimento di Delio Cantimori ricordato da Alberto Cavaglion: «l’uso del vocabolo “razza” è stato anacronisticamente utilizzato come prova schiacciante per retrodatare, oltre ogni limite di serietà scientifica, il presunto razzismo strutturale dell’italiano medio».  All’epoca, va chiarito, il termine razza veniva utilizzato come sinonimo di popolo, il che vale anche per il giovane socialista Mussolini.

Procediamo comunque con qualche esempio. È noto che Gaetano Salvemini l’8 dicembre 1922 appunta nel suo diario: «Mayer è triestino ed ebreo: credergli sarebbe ingenuità». È lecito “impiccare” Salvemini a questa e ad altre battute? E sottolineare come ancora nel 1934 stentasse, da combattivo antifascista all’estero, a identificare Mussolini con Hitler in materia di antisemitismo? «Mussolini – scrisse – non ha mai scatenato in Italia un’ondata di antisemitismo paragonabile a quella cui stiamo assistendo oggi in Germania. […] L’equivalente italiano dell’antisemitismo tedesco è la persecuzione della massoneria».
«Triestino era sempre per lui sinonimo di ebreo», nota Giulio Cattaneo a proposito di Carlo Emilio

Carlo Emilio Gadda

Gadda, affrettandosi a precisare: «Gadda non era antisemita». Vero? Falso? Parliamo del Gadda della feroce invettiva post-bellica contro un Mussolini, che nella vulgata lo fa annoverare tra le «firme sideralmente lontane dal regime». Un Mussolini sbeffeggiato come «Priapo Ottimo Massimo» e «Maccherone Maramaldo» in un florilegio che non contempla – per dire – un “Maramaldo Antigiudeo”.
Sono ben note le pagine scritte dall’ingegnere nel Racconto italiano di ignoto del novecento, nelle quali gli ebrei – che «mi sono poco simpatici» – «ad un tempo sono banchieri, democratici, framassoni e filantropi, soprattutto israeliti. Banchieri per istinto, filantropi per convenienza (nel senso largo e buono della parola), democratici per necessità».
È invece forse sfuggito ai più questo passaggio di Gadda, che il 25 novembre 1915 annota nel suo diario: «Alla mensa conobbi […] l’antipaticissimo, pretensioso, presuntuoso cap. Niccolosi, ebreo. È strana l’intuizione che ho degli ebrei: li conosco di colpo, al solo guardarli, prima ancora di avvicinarli: non ho nessuna speciale avversione per loro, ma questo Niccolosi deve essere un cane». Più o meno come il commissario di polizia che a Fontanay-le-Comte, nella Francia occupata, indaga sul belga Georges Simenon e sospetta: «– Lei è ebreo!» […] «Non mi sbaglio mai, io. L’ebreo lo sento al fiuto…».
Gadda – iscritto al Pnf dal 1921 – era dunque antisemita? Certo è che il Giornale di guerra viene pubblicato solo nel 1955, peraltro dopo un attento lavoro di revisione, al fine di evitare citazioni di persone che potrebbero restarne offese. Se ne può dedurre che Gadda, a dieci anni dalla fine della seconda guerra mondiale, non ritiene di dover espungere quella frase nota solo a lui. Probabilmente la considera una battuta innocua mentre – come si è detto – la percezione di quanto era accaduto faticava a affermarsi anche nel ceto intellettuale.

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Il testo completo del saggio in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. XXX, 2018, pp. 55-76.

Sentimento ostile, Zentralgebiet e criterio del politico

Carl Schmitt

di Teodoro Katte Klitsche de la Grange

Scrive Clausewitz, nelle prime pagine del Vom Kriege, che la guerra, sotto l’aspetto delle di essa tendenze principali si presenta come un triedro composto:
«1. Della violenza originale del suo elemento, l’odio e l’inimicizia, da considerarsi come un cieco istinto;
2. del giuoco delle probabilità e del caso, che le imprimono il carattere di una libera attività dell’anima;
3. della sua natura subordinata di strumento politico, ciò che la riconduce alla pura e semplice ragione.
La prima di queste tre facce corrisponde più specialmente al popolo, la seconda al condottiero ed al suo esercito, la terza al governo. Le passioni che nella guerra saranno messe in giuoco debbono già esistere nelle nazioni».
E poco prima sostiene che «Quanto più grandiosi e forti sono i motivi della guerra, quanto maggiormente essi abbracciano gli interessi vitali dei popoli, quanto maggiore è la tensione che precede la guerra, tanto più que- sta si avvicina alla sua forma astratta, tanto maggiore diviene la collimazione fra lo scopo politico e quello militare».
Da questi e da altri passi del Vom Kriege emerge che il “sentimento ostile” e la violenza originale dell’odio e dell’inimicizia è del “triedro” l’elemento che più contribuisce all’intensità e alla determinazione dello sforzo bellico.
Secondo Carl Schmitt «I concetti di amico e nemico devono essere presi nel loro significato concreto, esistenziale, non come metafore o simboli; essi non devono essere mescolati e affievoliti da concezioni economiche, morali e di altro tipo, e meno che mai vanno intesi in senso individualistico- privato», perché «Nemico è solo un insieme di uomini che combatte almeno virtualmente, cioè in base ad una possibilità reale, e che si contrappone ad un altro raggruppamento umano dello stesso genere». Il nemico è solo pubblico come già era scritto nel Digesto. La contrapposizione politica è la più intensa ed estrema; non è limitata all’esterno dell’unità politica, anche se all’interno è relativizzata ossia è lotta e non guerra; se diviene questa mette in forse l’unità politica. La guerra è in se un mezzo politico e non può che essere tale «sarebbe del tutto insensata una guerra condotta per motivi «puramente» religiosi, «puramente» morali, «puramente» giuridici o «puramente» economici». Tuttavia «contrasti religiosi, morali e di altro tipo si trasformano in contrasti politici e possono originare il raggruppamento di lotta decisivo in base alla distinzione amico-nemico. Ma se si giunge a ciò, allora il contrasto decisivo non è più quello religioso, morale od economico, bensì quello politico»; e prosegue «Ogni contrasto religioso, morale, economico, etnico o di altro tipo si trasforma in un contrasto politico, se è abbastanza forte da raggruppare effettivamente gli uomini in amici e nemici».
Nello scritto L’epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni Schmitt sostiene (e ciò presenta interesse anche per il “contenuto” del politico) che l’Europa ha cambiato dal XVI secolo più volte il proprio centro di riferimento; il quale è passato dal teologico al metafisico, da questo al morale- umanitario e poi all’economico.

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Il testo completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. XXX, 2018, pp. 135-149.

Ancora pochi giorni per partecipare al bando per ricerche sull’opera di Spirito e De Felice

Scade alle 17.00 del 31 agosto 2019 il termine per partecipare alla selezione indetta dalla Fondazione per nuove ricerche sull’opera di Ugo Spirito e Renzo De Felice, dei quali ricorre rispettivamente il quarantesimo anniversario della morte e il novantesimo anniversario della nascita.

Ecco il testo del bando:

1. Nell’ambito del programma delle attività istituite per celebrare il quarantesimo anno dalla scomparsa di Ugo Spirito (28 aprile 1979) e il novantesimo della nascita di Renzo De Felice (8 aprile 1929), la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice di Roma bandisce un concorso destinato a neolaureati.
2. Possono prendere parte al concorso i cittadini italiani che siano in possesso di laurea specialistica o magistrale conseguita a partire dal 1° gennaio 2015 ed entro, e non oltre, la data di pubblicazione del presente bando.
3. Si può partecipare presentando progetti di ricerca che mirino alla riscoperta, approfondimento e valorizzazione dell’opera del filosofo Ugo Spirito o dello storico Renzo De Felice, esaminati anche nel più ampio contesto della cultura italiana ed europea del Novecento. Pertanto, le ricerche potranno essere svolte lungo due indirizzi di studio, filosofico e storico. Sarà altresì possibile svolgere uno studio di taglio interdisciplinare, al contempo storiografico e filosofico, sempre e comunque inteso a valorizzare le fonti documentarie, bibliotecarie e archivistiche, presenti presso la Fondazione.
4. Il concorso prevede la selezione da parte del Comitato scientifico dei primi dieci migliori progetti di ricerca. Una volta selezionati, e comunicata la decisione ai diretti interessati, i progetti dovranno essere elaborati e redatti nell’arco di quattordici mesi (dal 1° ottobre 2019 al 30 novembre 2020). Tra questi dieci elaborati finali (di lunghezza non inferiore alle 50.000 battute – spazi inclusi –; più dettagliate norme redazionali verranno comunicate in seguito ai dieci selezionati) il Comitato scientifico premierà le tre ricerche valutate più valide per rigore scientifico ed originalità interpretativa. Il premio consisterà nell’assegnazione di tre borse di studio, dell’ammontare rispettivamente di 1000 euro per il primo classificato, e di 750 euro ciascuno per il secondo e terzo classificato.
5. Gli altri sette progetti di ricerca selezionati, realizzati e consegnati, ma non premiati, saranno oggetto di ulteriore valutazione da parte del Comitato scientifico per eventuale pubblicazione a cura della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice.
6. I concorrenti dovranno presentare, unitamente alla domanda di ammissione al concorso, un dettagliato progetto di ricerca di circa 5mila battute (spazi inclusi) corrispondente alle tematiche di cui al punto 3 e contenente adeguate indicazioni sulle fonti, le metodologie e gli obiettivi scientifici della ricerca, oltre ad una preliminare bibliografia di riferimento.
7. La domanda di ammissione al concorso e il progetto di ricerca dovranno essere inviati, entro e non oltre le ore 17,00 del 31 agosto 2019, alla Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice esclusivamente come documenti in formato word al seguente indirizzo e-mail: info@www.fondazionespirito.it.

Fiume cento anni dopo: convegno internazionale al Vittoriale

Nel centenario dell’impresa di Fiume, dal 5 al 7 settembre 2019 si terrà al Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera  il convegno internazionale “Fiume 1919-2019. Un centenario europeo tra identità, memorie e prospettive di ricerca”.

I lavori saranno articolati in tre giornate e gli atti pubblicati a cura della Fondazione Vittoriale degli Italiani. Gli interventi si concentreranno sull’influenza dell’Impresa fiumana sulla politica e sulla memoria, attraverso un approccio comparato tra storiografia italiana e croata.

Tra i relatori Giuseppe Parlato, presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, Roberto Chiarini, componente della Commissione Scientifica della Fondazione ed Ester Capuzzo, componente del Comitato scientifico degli “Annali” della Fondazione.

Chiuderà il convegno una tavola rotonda coordinata dal presidente Giordano Bruno Guerri cui parteciperanno gli storici Ernesto Galli della Loggia, Alessandro Barbero, Francesco Perfetti e Maurizio Serra.

Come sottolinea un comunicato, <Il Vittoriale, la dimora monumentale dove Gabriele d’Annunzio abitò dal 1921 alla morte, conserva la più vasta raccolta di fonti riguardanti la storia dell’Impresa. La Fondazione intende promuovere la riscoperta di questo capitolo del Novecento. A Fiume d’Annunzio fu Comandante di una ribellione e capo del movimento politico chiamato “fiumanesimo”. Fu un episodio capace di fondere patriottismo e rivoluzione, il culto dannunziano della bellezza e dell’innovazione culturale, politica e sociale. Un episodio che fu successivamente incluso nella mitologia del fascismo, che si impadronì della sua epopea, dei suoi riti e dei suoi simboli.

La Fondazione intende restituire all’Impresa fiumana la sua complessità storica, condividendo tale riscoperta con la città di Fiume – Rijeka. L’obiettivo è promuovere lo scambio tra ricercatori italiani e croati, nella speranza di sostenere una nuova stagione di studi sul Novecento attraverso una lente internazionale ed europea>.

Il programma

5 settembre

Ore 10.00-13.00

Le identità di Fiume

Moderatore: Francesco Perfetti

Raoul Pupo – La questione di Fiume e le vicende del confine orientale

Ester Capuzzo – Da Corpus Separatum a provincia italiana. Amministrazione e legislazione a Fiume (1919-1924).

Giovanni Stelli – Irredentismo e autonomismo a Fiume

Giuseppe Parlato – L’economia di Fiume durante l’Impresa dannunziana

Erwin Dubrovic – Il “Gabbiano” contro d’Annunzio. Una testimonianza di Milan Marjanovic riguardo una congiura croata

Natka Badurina – L’episodio dannunziano nella luce di alcuni documenti degli archivi fiumani

Ore 13.10

Inaugurazione della mostra “La Città inquieta e diversa” al Cavalcavia in Piazzetta Dalmata

Ore 15.00-18.00

Immagini da una ribellione

Moderatore: Roberto Chiarini

Stefano Bruno Galli – L’irredentismo trentino e l’Impresa fiumana

Vjeran Pavlacovic – D’Annunzio and Fiume: representations in the Yugoslav and US press 1919-1921.

Roberto Chiarini – Carlo Reina, il “Ragionevole”

Emanuele Cerutti – Consenso e dissenso nell’esercito dannunziano

Emiliano Loria – La questione dell’infanzia nella Fiume dannunziana

Dominique Reill – How to survive in an Holocaust city. Fiume and d’Annunzio

Simone Colonnelli – Liturgie nazional-cattoliche: padre Giuliani a Fiume

6 settembre

Ore 10.00-13.00

La città dell’utopia

Moderatore: Giovanni Stelli

Claudia Salaris – Artisti e libertari a Fiume

Matteo Pasetti – Sindacalismo e corporativismo nella Carta del Carnaro: l’utopia fiumana nell’Europa del dopoguerra

Carlo Leo – I letterati a Fiume

Silvia Zanlorenzi – Un giapponese a Fiume. Harukici Shimoi

Valentina Raimondo – Gli artisti che contribuirono ai simboli dannunziani

Simonetta Bartolini – Yoga, una rivista e un movimento nella Fiume dannunziana

Ore 15.00-18.00

L’eco dell’Impresa

Moderatore: Ernesto Galli Della Loggia

Marco Cuzzi – “La nostra bandiera è la più alta”: la politica “esteriore” di d’Annunzio e la Lega di Fiume.

Aldo A. Mola – La Massoneria e la questione fiumana

Paolo Cavassini – I repubblicani e la questione fiumana, fra “diciannovismo” e intransigenza

Francesco Perfetti – D’Annunzio e Mussolini

Alberto Mingardi – Il capitalismo italiano e l’Impresa fiumana

7 settembre

I tragitti della memoria

Moderatore: Paolo Cavassini

Alessio Quercioli – “Tener viva in Italia la fiamma dell’ideale”, la Federazione Nazionale dei Legionari Fiumani nell’Italia del Primo dopoguerra e i suoi rapporti con il fascismo.

Federico Carlo Simonelli – L’Impresa fiumana nella memoria pubblica del fascismo

Elena Ledda – Memorie fiumane negli archivi del Vittoriale

Marino Micich – L’Impresa di d’Annunzio e la città esule. Echi e suggestioni dannunziane nella costituzione del Libero Comune di Fiume in esilio (1966-1969)

Tea Perincic – Due mostre sull’Impresa di Fiume a Rijeka

Barbara Bracco – Scatti della rivoluzione. Fatti e personaggi dell’Impresa fiumana nella fotografia.

Ore 15.00-18.00

Bilancio storiografico (tavola rotonda)

Moderatore: Giordano Bruno Guerri

Ernesto Galli della Loggia

Alessandro Barbero

Francesco Perfetti

Maurizio Serra

Stefano Bruno Galli

Ore 21.00

Spettacolo “Il Piacere” con Debora Caprioglio al Laghetto delle Danze

Info: http://web.vittoriale.it