Per aiutare gli studiosi ad orizzontarsi all’interno della vasta documentazione archivistica posseduta dalla Fondazione Spirito, si è ritenuto utile compilare una guida dei fondi archivistici presenti nell’Istituto e attualmente disponibili alla consultazione.
In questa guida non vengono presentati gli inventari, i quali necessitano è ovvio di una trattazione più specifica e per i quali si rimanda alle pubblicazioni monografiche della Fondazione nella collana “Carte ‘900”.
Franco Tamassia (a cura di), L’opera di Ugo Spirito. Bibliografia [1986]
L’opera raccoglie l’elenco pressoché completo degli scritti di Ugo Spirito dall’inizio della sua attività scientifica fino al 1979. Il volume è concepito in modo da permettere agli studiosi di individuare i diversi contesti in cui le singole relazioni e saggi sono stati presentati. Infatti le indicazioni dei testi pubblicati in diverse occasioni compaiono più di una volta quando si tratti ad esempio di una relazione congressuale; in questo caso l’indicazione si riferisce sia alla data in cui venne esposta sia alla data in cui venne pubblicata.
Scaduto il bando per le ricerche su Spirito e De Felice
È scaduto il 31 agosto 2019 il termine per partecipare alla selezione indetta dalla Fondazione per nuove ricerche sull’opera di Ugo Spirito e Renzo De Felice, dei quali ricorre rispettivamente il quarantesimo anniversario della morte e il novantesimo anniversario della nascita.
La selezione era riservata a cittadini italiani in possesso di laurea specialistica o magistrale conseguita a partire dal 1° gennaio 2015 al luglio 2019.
Si è potuto partecipare presentando progetti di ricerca che mirino alla riscoperta, approfondimento e valorizzazione dell’opera del filosofo Ugo Spirito o dello storico Renzo De Felice, esaminati anche nel più ampio contesto della cultura italiana ed europea del Novecento. Pertanto, le ricerche potranno essere svolte lungo due indirizzi di studio, filosofico e storico. Sarà altresì possibile svolgere uno studio di taglio interdisciplinare, al contempo storiografico e filosofico, sempre e comunque inteso a valorizzare le fonti documentarie, bibliotecarie e archivistiche, presenti presso la Fondazione.
Ora le domande pervenute saranno valutate dalla Commissione Scientifica presieduta dal prof. Hervé A. Cavallera e composta dai professori Paolo Simoncelli e Umberto Gentiloni Silveri, nonché dai professori Danilo Breschi, Giuseppe Parlato e Gaetano Sabatini, quali componenti interni della Fondazione.
Gli esiti della valutazione saranno pubblicati sul sito della Fondazione.
Sentieri della Foresta Nera. Politica ed ambiente nel pensiero di Martin Heidegger
di Gianmarco Pondrano Altavilla
// Fin dai primissimi decenni del diciannovesime secolo, in coincidenza da un lato con l’emersione della reazione romantica al razionalismo ed all’universalismo illuminista, dall’altro con l’appello sempre più marcato al concetto di nazione in chiave anti-francese, si assiste nelle terre tedesche al montare di un’attenzione diffusa per il paesaggio, soprattutto silvano, percepito come elemento strutturale della Patria (Heimat).
L’avvento tendenzialmente concomitante della Rivoluzione industriale e della Rivoluzione francese, unito al sostrato di decenni di critica alle verità fondamentali che avevano retto la società europea fino ad allora, avevano condotto l’intero continente ad una fase di rivolgimento epocale, percepita dai singoli come un momento di forte smarrimento ed angoscia. Il nuovo sistema economico li sradicava dal proprio lavoro; le idee di Ragione e di critica toglievano loro ogni fondamento di valore terreno ed ultraterreno; la Rivoluzione, esportata all’ombra delle aquile napoleoniche, li privava di un ancestrale struttura socio-politica e della fede in essa. Innanzi a tutto questo, fu facile ricercare in se stessi e nelle proprie esistenze nuovi appigli cui fare riferimento. Nacquero tante «novelle religioni», tanti credi quanti possono essere gli istinti primordiali dell’uomo, certe volte temperati, più spesso misti insieme in combinazioni non sempre coerenti. Il legame con le proprie origini e la propria terra non fece eccezione. Storia e Natura, la propria Storia, e la propria Natura si ersero come ideali capaci di assicurare senso alla vita del singolo, garantendogli (non senza contraddizioni) di conservare la propria (appunto) individualità, se non altro, come membro di un particolare gruppo, di una particolare nazione.
In Germania, nel caso di specie, la «Storia» originaria cui si poteva far riferimento era quella degli antichi Germani, nobilitata e tramandata da Tacito, permeata di riferimenti al culto panteistico della foresta e delle sue forze; la «Natura» per altro verso, intesa come paesaggio incontaminato, privo dell’apporto umano, era quello tedesco dei fitti boschi di conifere e querce.
La nascita dello «spirito nazionale tedesco» nella sua, spesso contraddittoria, comunanza di spinte individualistico-titanistiche e comunitaristiche; di idolatria delle origini della cultura storica del Volk e di culto panteistico della Natura; soprattutto di atteggiamenti ruralistici ed anti-moderni, legati insieme alla diffusa ansia bellicista (che, stanti i canoni della guerra moderna, nulla poteva avere di bucolico) trovava nel mito del paesaggio antico e degli antichi, nella foresta ancestrale, un vistoso punto di fuga e di sintesi.
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Il saggio completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2014-2015, XXIV-XXV, pp. 105-119.
Un geografo sul campo di battaglia
di Lorenzo Salimbeni
//Già docente di Geografia economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (quasi in continuità con la sua frequentazione universitaria della Fuci dell’ateneo triestino) e presso la Regia Università di Pavia, nonché fondatore assieme al collega Giorgio Roletto di Geopolitica. Rassegna mensile di geografia politica, economica, sociale, coloniale (1939-1942), Ernesto Massi partì comunque volontario nella Seconda guerra mondiale. Rientrato nei ranghi del Regio esercito come Tenente di complemento di fanteria (specialità Bersaglieri), svolse soprattutto un apprezzato lavoro informativo nell’ambito degli uffici “I”, distaccati presso lo Stato maggiore delle grandi unità, mettendo a disposizione la sua vasta cultura, le sue competenze linguistiche (nato nel 1909 nelle terre irredente asburgiche da padre croato, svolse le scuole elementari a Graz in Austria) e le conoscenze affinate nell’ambito di specifici corsi di formazione per i militari afferenti al Servizio informazioni militare (Sim).
Il suo primo ambito di impiego nel 1941 fu lo Stato indipendente croato, assurto all’indipendenza sotto l’egida del Poglavnik degli Ustaša Ante Pavelić, ma ben presto diventato teatro di immani carneficine perpetrate dalle milizie ultranazionaliste croate a danno di serbi, zingari ed ebrei. I resoconti settimanali ed alcune schede specifiche custoditi nell’archivio della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice all’interno del Fondo Massi mettono in evidenza la sua conoscenza del territorio, della lingua e delle caratteristiche delle popolazioni autoctone, nonché la sua capacità di analizzare la difficile situazione politica locale. In effetti l’esercito italiano in Jugoslavia aveva schierato numerosi soldati ed ufficiali bilingui, spesso con cognomi di chiara origine slava, croati e sloveni del confine orientale (correndo il rischio che disertassero) oppure totalmente italianizzati anche da molte generazioni (quasi in analogia con le elite croate austriacizzate): le autorità di Zagabria chiesero l’allontanamento di alcuni di questi ufficiali, arruolati nella divisione Sassari, per manifesto anticroatismo1.
Nel frattempo la rivista Geopolitica cominciava ad affrontare con frequenza tematiche attinenti i Balcani, la Croazia e le possibilità di sviluppo italiano nell’Europa orientale. Meno corposo risulta il materiale inerente le successive destinazioni del fondatore della geopolitica italiana, vale a dire il fronte russo e siciliano, ambiti nei quali alle attività di ufficio accostò un maggiore impegno in prima linea, come si può anche evincere dalle decorazioni militari conseguite.
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Il saggio completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2016-2017, XXVIII-XXIX, pp. 115-142.
La centralità geopolitica di Trieste negli studi di Giorgio Roletto ed Ernesto Massi
di Michele Pigliucci
//La regione geografica dell’Adriatico settentrionale è una delle zone maggiormente interessanti per quanto riguarda lo studio del territorio e della distribuzione dei popoli. Essa, infatti, nella storia dell’uomo è sempre stata attraversata da diversi confini politici, il cui mutamento nei secoli ha raccontato, e condizionato, l’alterna evoluzione delle dinamiche umane, facendone il terreno di un confronto più o meno aspro fra popolazioni differenti per lingua, cultura e provenienza, che la storia nei secoli ha spinto fino a questo crocevia, facendo di esso uno snodo di primaria importanza in quanto limite orientale della diffusione dei popoli latini, confine meridionale dell’espansione dei popoli germanici e occidentale per i popoli slavi. Queste tre espansioni hanno scelto per differenti motivi queste direzioni: a un’antica presenza latina nella direttrice orientale si è andata sommando una penetrazione germanica in cerca di uno sbocco sul Mediterraneo, a cui si è aggiunta la manodopera agricola slava che, diffusa sul territorio, ha assunto nel tempo consapevolezza nazionale.
La diffusione dei tre ceppi etnici su questo territorio non è mai riuscita a risolversi in maniera definitiva: se la penetrazione germanica è stata discontinua e periodica, l’elemento latino ha privilegiato l’occupazione delle città della costa mentre gli slavi, prevalentemente contadini, si sono sparpagliati nell’agro (Bonetti, 1964). Questa differente distribuzione dipende in ultima analisi da un diverso approccio culturale che avrebbe poi condizionato le tensioni per il controllo della regione: se gli italiani sono portati a ritenere che la campagna segua il destino della città, viceversa gli slavi e i germanici tendono a considerare l’agro il vero centro del territorio.
La situazione di Trieste, inoltre, è complicata dalla netta separazione fra l’entroterra e il litorale, causata dall’aspra conformazione orografica del Carso immediatamente alle spalle della città. Questa particolarità fu ad un tempo la causa e l’effetto dell’incapacità di affermazione, per un periodo significativo, da parte di un potere centrale in grado di imporre unità culturale e territoriale alla regione e di condizionare così sostanzialmente e definitivamente lo sviluppo umano. Al contrario l’assenza di una barriera naturale ben riconoscibile permise il continuo spostamento delle frontiere secondo le contingenze storiche. In particolare durante le invasioni barbariche dell’alto medioevo questa regione si rivelò sostanzialmente inadatta a ricoprire il ruolo di limes militare che la geografia politica le attribuiva: fortificata con alti valli, fu violata ripetutamente fino a costringere i Longobardi a porre la propria linea difensiva su quello che diverrà il limes longobardicus, il limitare cioè fra la pianura friulana e le Prealpi Giulie. Questa linea amministrativa e militare è di grande significato perché rappresenterà da allora, almeno nella sua parte settentrionale, un confine etnico abbastanza netto fra i popoli di diritto latino e gli sloveni e croati, i primi penetrati nella zona delle Prealpi Giulie al seguito dei Longobardi, i secondi importati nella penisola istriana dai bizantini come coloni. Questa sostanziale chiusura del confine agevolò lo sviluppo di una centralità della zona costiera giuliana, che mantenne nei secoli la propria funzione di collegamento fra mondo germanico e mare Adriatico.
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Il saggio completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2016-2017, XXVIII-XXIX, pp. 45-69.
“D’Annunzio torna a Pescara”: convegni, musica, teatro dal 7 al 15 settembre
Nel centenario dell’impresa fiumana, dal 7 al 15 settembre 2019, la città natale di Gabriele D’Annunzio ospita la manifestazione “D’Annunzio torna a Pescara – La Festa della Rivoluzione”. In programma concerti, recital, mostre e convegni per ricordare e riflettere a 360 gradi sull’opera del poeta.
La Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice sarà presente con il presidente Giuseppe Parlato, che domenica 15 settembre parteciperà al convegno “100 anni dall’Impresa di Fiume”, con Giordano Bruno Guerri, Claudia Salaris e Stefano Trinchese (Aurum, ore 17.3O).
Martedì 10 settembre il Florian Metateatro Centro di Produzione Teatrale di Pescara, presenterà il recital “Tutto fu ambito e tutto fu tentato”, di Giulia Basel, con la consulenza del vicepresidente della Fondazione, Gianni Scipione Rossi (Aurum, ore 21.00).
Il programma completo in www.dannunzioweek.it
La rivista “Geopolitica” e la questione delle terre irredente tra ambizioni scientifiche, politiche e territoriali
di Arrigo Bonifacio
//Nel gennaio del 1939 uscì il primo numero di “Geopolitica. Rassegna mensile di geografia politica, economica, sociale, coloniale”, rivista fondata dai geografi Ernesto Massi e Giorgio Roletto grazie all’appoggio politico e materiale del ministro per l’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai. Il principale obbiettivo scientifico di “Geopolitica” era quello di strutturare un approccio italiano all’omonima disciplina – la geopolitica – affermandone lo status scientifico come disciplina geografica. La rivista aveva però anche degli obbiettivi di natura politica, ed in particolar modo ambiva a fare della geopolitica «una base dottrinaria della politica estera fascista». Svariati studi hanno evidenziato come globalmente “Geopolitica” fosse principalmente espressione della peculiare realtà politico-culturale della città di Trieste, presso il cui Ateneo era inserito quell’Istituto di Geografia, sede della Direzione della rivista, dove insegnava il piemontese Giorgio Roletto e dove si era formato accademicamente l’altro condirettore di “Geopolitica”, Ernesto Massi, geografo triestino che per primo aveva “importato” in Italia la geopolitica, disciplina che fino a quel momento si era sviluppata soprattutto in Germania.
Presso il medesimo Istituto erano poi attivi numerosi altri redattori e collaboratori della rivista, quali Eliseo Bonetti, Livio Chersi, Renata Pess, Carlo Schiffrer e Dante Lunder. Ad ogni modo collaborarono con “Geopolitica” «tutti i geografi [italiani] dell’epoca»: la creatura di Roletto e Massi era dunque dotata di una rete ben ramificata anche al di fuori dell’Istituto di Geografia dell’Università di Trieste e si estendeva un po’ a tutto il Regno, per farsi però particolarmente fitta a Milano e a Pavia, dove Ernesto Massi era docente di Geografia Politica presso l’Università Cattolica di Milano e la Regia Università di Pavia.
La rete di “Geopolitica” non era tuttavia di natura esclusivamente accademica: Massi e Roletto erano infatti vicini sia all’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (d’ora in avanti ISPI), istituzione notoriamente vicina agli ambienti del Ministero degli Affari Esteri, sia alla Scuola di Mistica Fascista Sandro Italico Mussolini. Per comprendere la vicinanza di Massi e Roletto a questi due enti, entrambi nati negli ambienti dei Gruppi Universitari Fascisti (d’ora in avanti GUF) milanesi e pavesi, basti ricordare che entrambi i direttori di “Geopolitica” erano anche collaboratori di “Dottrina Fascista”, la rivista della Scuola, mentre per quello che riguarda l’ISPI i rapporti furono così stretti che per anni si vagliò l’ipotesi di creare presso l’Istituto di Geografia dell’Ateneo giuliano una sede distaccata dell’ente milanese.
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Il testo completo del saggio in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2016-2017, XXVIII-XXIX, pp. 9-43.
Ugo Spirito. L’uomo la cui filosofia incarnò lo spirito del Novecento
di Danilo Breschi
//Ugo Spirito è stato un filosofo molto apprezzato, molto studiato e molto amato (specialmente dai suoi studenti) in Italia e in Europa fino al 1979, anno della sua morte. Piuttosto che un successo postumo, com’è il caso di Nietzsche ad esempio, a Spirito è toccato in sorte un grande, enorme successo in vita. È stato un filosofo la cui fama è persino cresciuta nel dopoguerra repubblicano e antifascista, nonostante fosse stata già consistente durante il periodo tardo-monarchico e fascista, quando egli assurse in certi momenti a “consigliere del Principe”, grazie al ruolo di intellettuale di riferimento, per l’ala movimentista e “rivoluzionaria”, riconosciutogli da Giuseppe Bottai soprattutto nei primi anni Trenta e nei primi anni Quaranta. Spirito non abbandonò mai le speranze di un rivoluzionarismo fascista sino alla vigilia del crollo del regime mussoliniano (25 luglio 1943), a dispetto di quanto ebbe sempre a ricordare e poi a scrivere perentoriamente nelle sue Memorie di un incosciente, sorta di testamento spirituale pubblicato un paio d’anni prima della morte.
“Spirito del Novecento”: così recitava il titolo della monografia che nel 2010 ho dedicato all’analisi del filosofo aretino. Il gioco di parole era cercato ben oltre l’intento ludico. Intendeva indicare l’essenza della figura di Spirito, il suo carattere paradigmatico. Riassunse nella sua vita e nella sua opera, che hanno anagraficamente attraversato ben tre quarti dell’intero Novecento, il ruolo e la natura dell’intellettuale-ideologo nel corso di quello che è stato, per eccellenza, il secolo delle ideologie e delle rivoluzioni. Spirito e il Novecento sono stati specchio l’uno all’altro. L’uno, il filosofo di quel determinato secolo e la sua autocoscienza, l’altro, il campo di sperimentazione e la fonte di ispirazione del pensatore che, più di molti altri, ne è stato un fedele interprete. Fu il coerente portavoce di un secolo apparentemente incoerente, ma che proprio grazie a filosofi come Spirito si rivela permeato di una logica più lineare di quanto si possa pensare, tale per cui la prima metà del Novecento spiega gran parte della seconda. Ed un simile ragionamento vale per il mondo intero, e non soltanto per l’Europa. Si è infatti passati dall’imperialismo alla globalizzazione, in politica internazionale. Dall’irrazionalismo al post- modernismo, in filosofia. Dall’euforia smisurata alla depressione cronicizzata, nella psicologia collettiva delle società occidentali. Sempre e comunque, forme di nevrosi. Dalla presunzione di sapere, e potere, tutto, all’incoscienza, e impotenza, altrettanto totali.
Il fatto che la morte di Spirito, avvenuta il 28 aprile 1979, abbia sostanzialmente coinciso con la progressiva marginalizzazione della sua opera, nonostante l’encomiabile attività scientifica della Fondazione ad egli intitolata, che fu ben presto istituita e che negli anni Novanta fu presieduta da uno storico di larga fama come Renzo De Felice, sta a significare una sola cosa: che il Novecento è finito in anticipo. Finito come secolo delle religioni politiche e del messianismo rivoluzionario. Negli anni Ottanta iniziava a muovere i suoi primi passi tutta un’altra storia. Non per questo il Novecento è stato un “secolo breve”. Al contrario: era iniziato molto prima, probabilmente nel 1789. Ma terminò, sotto questo profilo, nel 1989, esattamente duecento anni dopo.
In tal senso Francis Fukuyama andrebbe riabilitato rispetto alle semplicistiche interpretazioni che tuttora lo liquidano come l’ingenuo portavoce dell’ottimismo reaganiano e liberista. Interpretazioni che sospetto siano il frutto di una mancata lettura e di un pregiudiziale sentito dire.
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Il testo completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. XXX, 2018, pp. 121-132.
La guerra rivoluzionaria di Ugo Spirito
di Rodolfo Sideri
//Nel suo Diario 1935-1944, Bottai racconta che il 29 novembre 1941, Mussolini gli restituì un dattiloscritto di Spirito intitolato Guerra rivoluzionaria, esprimendo un giudizio sostanzialmente critico: «Lo trova intelligente, ma contraddittorio» per la distinzione borghesia-proletariato e indicava il punto debole della tesi laddove, riconosciuta l’ineluttabilità dell’egemonia tedesca, additava all’Italia il compito di mitigarla in un teatro bellico dove i metodi tedeschi – diceva Mussolini – erano sotto gli occhi di tutti e l’Italia arrancava dietro l’alleato. Era significativo che il testo di Spirito fosse presentato al Duce da Bottai, mentore del filosofo insieme a Gentile, o addirittura sia stato da lui commissionato. Il gerarca era colui che maggiormente si stava spendendo, tanto con la sua azione di ministro dell’Educazione Nazionale quanto come direttore di «Critica fascista» e «Primato», per coinvolgere e mobilitare gli intellettuali. Un’azione che richiedeva di spostare sul terreno culturale il conflitto in atto e quindi ideologizzarlo e trasformarlo in un cambiamento storico che era compito degli intellettuali discutere se non determinare.
Ugo Spirito era forse l’esempio paradigmatico di come Bottai intendesse la figura dell’intellettuale, costantemente volto a dare all’analisi dei fenomeni storico-politici in atto un’impostazione idealistica. Del resto, lo stesso Spirito, nella sua autobiografia intellettuale, afferma che il fascismo «non spunta all’improvviso come un fungo imprevisto, ma è il frutto di un lungo processo […]. Possiamo dire che le sue radici sono nei principi del nuovo idealismo italiano, in antitesi col vecchio positivismo». Addirittura, la fondazione del fascismo viene dal filosofo retrodatata al gennaio 1918, quando Giovanni Gentile iniziava la docenza all’università di Roma con la precisa intenzione di educare i suoi studenti alla coscienza storica del passato della storia nazionale e alle esigenze del presente, in modo da consentire loro di sviluppare la fede nell’idea di nazione, fuoriuscendo dall’inautenticità di una vita dominata dall’egoismo e dall’utilitarismo individuale. Anche per Spirito, dunque, il fascismo non era derubricabile a mera reazione alle violenze del biennio rosso, rappresentando piuttosto un’esigenza storica della vita nazionale. Spirito non ripudia l’entusiastica adesione a questo fascismo, nutrito di idealismo e validato da una riforma della scuola che diede all’idealismo una sorta di monopolio ideologico all’interno della nuova èra che si apriva. Le cose cominciarono a cambiare con i Patti Lateranensi, in virtù dei quali «l’attualismo veniva negato in forma perentoria e a tempo indeterminato>.
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Il saggio completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. XXX, 2018, pp. 95-110.