Un guascone nel Novecento: Valerio Pignatelli di Cerchiara

Valerio Pignatelli

di Andrea Cendali Pignatelli

//La figura di Valerio Pignatelli di Cerchiara mi ha sempre affascinato. Nato a Chieti nel 1886, ufficiale di cavalleria, pluridecorato al valor militare, ha avuto un’esistenza avventurosa fra guerre, fascismo ed intrighi politici di ogni genere. Ha partecipato alla campagna di Libia, al primo conflitto mondiale confluendo nei reparti degli Arditi d’Italia, alla guerra d’Etiopia nel 1935-36 ed a quella civile di Spagna nel 1938. Addetto diplomatico in Russia nel 1924, ha avuto incarichi in vari paesi per conto del Ministero degli Esteri. Giornalista e romanziere, ha fondato e diretto il periodico “l’Ardito d’Italia” ed è stato autore di cine-romanzi scritti negli anni Trenta del secolo scorso e pubblicati da Sonzogno, per ricalcare le avventure e le gesta di Andrea Pignatelli di Cerchiara, suo antenato, generale napoleonico al fianco di Gioacchino Murat. Aderì alla Rsi sul finire dell’era fascista, e fu poi tra i promotori della costituzione del Msi nel 1946, per distanziarsi subito dopo dalla compagine. Ritiratosi a vita privata, è morto a Sellia Marina, in Calabria, nel 1965. 
Ho sintetizzato in poche righe una vita intensa ed avventurosa, che varie fonti bibliografiche riportano più estesamente, con la ricchezza di più particolari. In questa sede mi fa invece piacere – e probabilmente riesco a dare un contributo di conoscenze ed informazioni nuove – ripercorrere tutto un epistolario, a me pervenuto, di Valerio con la madre, Emilia Pignatelli Valignani, la sorella Maria ed il cognato Antonio Basile, detto Nino, generale medico nell’esercito, oltreché con diverse altre persone con cui ha avuto consuetudine di rapporti. Conoscenze e informazioni pervenutemi anche dai racconti e dalle descrizioni fattemi dalla sorella Maria, per me nonna per aver cresciuto mia madre Andreina Pignatelli, detta Dedée, dopo che questa era arrivata a Chieti nel 1917, orfana di Andrea Pignatelli, caduto sul campo di Monastir, in Serbia, nella Grande Guerra; oltre che madre adottiva per aver adottato mia sorella Micaela, detta Miky, e me nel 1965. Conoscenze forse lievitate per essere state tramandate oralmente da una sorella orgogliosa delle gesta del fratello, ad un nipote tutto orecchi e curioso oltre ogni li- mite: ma pur sempre una base per informazioni ed aneddoti altrimenti persi.
Alcune lettere, datate fra il 1907 ed il 1913, rivelano una giovanile vena poetica di Valerio, che anticipa le successive esperienze di giornalista e romanziere, maturate negli anni Trenta.

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Della partecipazione di Valerio al Primo Conflitto Mondiale non vi sono tracce molto estese nel suo epistolario a me pervenuto. Da una lettera alla Madre scritta dalla Zona d’Armistizio nel 1918 senza citare giorno e mese – certamente dopo il 27-28 ottobre, dato che nella lettera si fa riferimento alla sua «compagnia che ancora risente della violenta scossa subita il 27 ed il 28 ottobre per il forzamento del Piave» – sappiamo che è stato proposto per una terza medaglia al valore, a conferma dell’impegno e del coraggio profusi per l’intera durata del conflitto.

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Il saggio biografico in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, n. 1, a. 2019, nuova serie, a. XXXI, pp. 227-253.

Giuseppe Parlato, Aldo Rozzi Marin (a cura di), “Il ruolo delle associazioni dei migranti. I casi di eccellenza del Veneto” [2010]

Il volume raccoglie gli Atti del Convegno “Il ruolo delle associazioni dei migranti. I casi di eccellenza del Veneto”, organizzato a Teolo il 30-31 ottobre 2009 con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri ed in partnership con l’Associazione Veneti nel mondo onlus. Il Convegno aveva approfondito il ruolo giocato dalle associazioni di migranti venete nel mantenere saldo il legame tra gli emigrati e la madrepatria e nel valorizzare questo senso di appartenenza trasformandolo in una opportunità di crescita economica per lo stesso Veneto.

Francesca Garello, Lucia R. Petese (a cura di), “Guida ai fondi archivistici della Fondazione Spirito” [2003]

Per aiutare gli studiosi ad orizzontarsi all’interno della vasta documentazione archivistica posseduta dalla Fondazione Spirito, si è ritenuto utile compilare una guida dei fondi archivistici presenti nell’Istituto e attualmente disponibili alla consultazione.
In questa guida non vengono presentati gli inventari, i quali necessitano è ovvio di una trattazione più specifica e per i quali si rimanda alle pubblicazioni monografiche della Fondazione nella collana “Carte ‘900”.

Franco Tamassia (a cura di), L’opera di Ugo Spirito. Bibliografia [1986]

L’opera raccoglie l’elenco pressoché completo degli scritti di Ugo Spirito dall’inizio della sua attività scientifica fino al 1979. Il volume è concepito in modo da permettere agli studiosi di individuare i diversi contesti in cui le singole relazioni e saggi sono stati presentati. Infatti le indicazioni dei testi pubblicati in diverse occasioni compaiono più di una volta quando si tratti ad esempio di una relazione congressuale; in questo caso l’indicazione si riferisce sia alla data in cui venne esposta sia alla data in cui venne pubblicata.

Scaduto il bando per le ricerche su Spirito e De Felice

È scaduto il 31 agosto 2019 il termine per partecipare alla selezione indetta dalla Fondazione per nuove ricerche sull’opera di Ugo Spirito e Renzo De Felice, dei quali ricorre rispettivamente il quarantesimo anniversario della morte e il novantesimo anniversario della nascita.

La selezione era riservata a cittadini italiani in possesso di laurea specialistica o magistrale conseguita a partire dal 1° gennaio 2015 al luglio 2019.

Si è potuto partecipare presentando progetti di ricerca che mirino alla riscoperta, approfondimento e valorizzazione dell’opera del filosofo Ugo Spirito o dello storico Renzo De Felice, esaminati anche nel più ampio contesto della cultura italiana ed europea del Novecento. Pertanto, le ricerche potranno essere svolte lungo due indirizzi di studio, filosofico e storico. Sarà altresì possibile svolgere uno studio di taglio interdisciplinare, al contempo storiografico e filosofico, sempre e comunque inteso a valorizzare le fonti documentarie, bibliotecarie e archivistiche, presenti presso la Fondazione.

Ora le domande pervenute saranno valutate dalla Commissione Scientifica presieduta dal prof. Hervé A. Cavallera e composta dai professori Paolo Simoncelli e Umberto Gentiloni Silveri, nonché dai professori Danilo Breschi, Giuseppe Parlato e Gaetano Sabatini, quali componenti interni della Fondazione.

Gli esiti della valutazione saranno pubblicati sul sito della Fondazione.

Sentieri della Foresta Nera. Politica ed ambiente nel pensiero di Martin Heidegger

di Gianmarco Pondrano Altavilla

// Fin dai primissimi decenni del diciannovesime secolo, in coincidenza da un lato con l’emersione della reazione romantica al razionalismo ed all’universalismo illuminista, dall’altro con l’appello sempre più marcato al concetto di nazione in chiave anti-francese, si assiste nelle terre tedesche al montare di un’attenzione diffusa per il paesaggio, soprattutto silvano, percepito come elemento strutturale della Patria (Heimat).
L’avvento tendenzialmente concomitante della Rivoluzione industriale e della Rivoluzione francese, unito al sostrato di decenni di critica alle verità fondamentali che avevano retto la società europea fino ad allora, avevano condotto l’intero continente ad una fase di rivolgimento epocale, percepita dai singoli come un momento di forte smarrimento ed angoscia. Il nuovo sistema economico li sradicava dal proprio lavoro; le idee di Ragione e di critica toglievano loro ogni fondamento di valore terreno ed ultraterreno; la Rivoluzione, esportata all’ombra delle aquile napoleoniche, li privava di un ancestrale struttura socio-politica e della fede in essa. Innanzi a tutto questo, fu facile ricercare in se stessi e nelle proprie esistenze nuovi appigli cui fare riferimento. Nacquero tante «novelle religioni», tanti credi quanti possono essere gli istinti primordiali dell’uomo, certe volte temperati, più spesso misti insieme in combinazioni non sempre coerenti. Il legame con le proprie origini e la propria terra non fece eccezione. Storia e Natura, la propria Storia, e la propria Natura si ersero come ideali capaci di assicurare senso alla vita del singolo, garantendogli (non senza contraddizioni) di conservare la propria (appunto) individualità, se non altro, come membro di un particolare gruppo, di una particolare nazione.
In Germania, nel caso di specie, la «Storia» originaria cui si poteva far riferimento era quella degli antichi Germani, nobilitata e tramandata da Tacito, permeata di riferimenti al culto panteistico della foresta e delle sue forze; la «Natura» per altro verso, intesa come paesaggio incontaminato, privo dell’apporto umano, era quello tedesco dei fitti boschi di conifere e querce.
La nascita dello «spirito nazionale tedesco» nella sua, spesso contraddittoria, comunanza di spinte individualistico-titanistiche e comunitaristiche; di idolatria delle origini della cultura storica del Volk e di culto panteistico della Natura; soprattutto di atteggiamenti ruralistici ed anti-moderni, legati insieme alla diffusa ansia bellicista (che, stanti i canoni della guerra moderna, nulla poteva avere di bucolico) trovava nel mito del paesaggio antico e degli antichi, nella foresta ancestrale, un vistoso punto di fuga e di sintesi.

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Il saggio completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2014-2015, XXIV-XXV, pp. 105-119.

Un geografo sul campo di battaglia

Ernesto Massi

di Lorenzo Salimbeni

//Già docente di Geografia economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (quasi in continuità con la sua frequentazione universitaria della Fuci dell’ateneo triestino) e presso la Regia Università di Pavia, nonché fondatore assieme al collega Giorgio Roletto di Geopolitica. Rassegna mensile di geografia politica, economica, sociale, coloniale (1939-1942), Ernesto Massi partì comunque volontario nella Seconda guerra mondiale. Rientrato nei ranghi del Regio esercito come Tenente di complemento di fanteria (specialità Bersaglieri), svolse soprattutto un apprezzato lavoro informativo nell’ambito degli uffici “I”, distaccati presso lo Stato maggiore delle grandi unità, mettendo a disposizione la sua vasta cultura, le sue competenze linguistiche (nato nel 1909 nelle terre irredente asburgiche da padre croato, svolse le scuole elementari a Graz in Austria) e le conoscenze affinate nell’ambito di specifici corsi di formazione per i militari afferenti al Servizio informazioni militare (Sim).
Il suo primo ambito di impiego nel 1941 fu lo Stato indipendente croato, assurto all’indipendenza sotto l’egida del Poglavnik degli Ustaša Ante Pavelić, ma ben presto diventato teatro di immani carneficine perpetrate dalle milizie ultranazionaliste croate a danno di serbi, zingari ed ebrei. I resoconti settimanali ed alcune schede specifiche custoditi nell’archivio della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice all’interno del Fondo Massi mettono in evidenza la sua conoscenza del territorio, della lingua e delle caratteristiche delle popolazioni autoctone, nonché la sua capacità di analizzare la difficile situazione politica locale. In effetti l’esercito italiano in Jugoslavia aveva schierato numerosi soldati ed ufficiali bilingui, spesso con cognomi di chiara origine slava, croati e sloveni del confine orientale (correndo il rischio che disertassero) oppure totalmente italianizzati anche da molte generazioni (quasi in analogia con le elite croate austriacizzate): le autorità di Zagabria chiesero l’allontanamento di alcuni di questi ufficiali, arruolati nella divisione Sassari, per manifesto anticroatismo1.
Nel frattempo la rivista Geopolitica cominciava ad affrontare con frequenza tematiche attinenti i Balcani, la Croazia e le possibilità di sviluppo italiano nell’Europa orientale. Meno corposo risulta il materiale inerente le successive destinazioni del fondatore della geopolitica italiana, vale a dire il fronte russo e siciliano, ambiti nei quali alle attività di ufficio accostò un maggiore impegno in prima linea, come si può anche evincere dalle decorazioni militari conseguite.

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Il saggio completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2016-2017, XXVIII-XXIX, pp. 115-142.

La centralità geopolitica di Trieste negli studi di Giorgio Roletto ed Ernesto Massi

di Michele Pigliucci

//La regione geografica dell’Adriatico settentrionale è una delle zone maggiormente interessanti per quanto riguarda lo studio del territorio e della distribuzione dei popoli. Essa, infatti, nella storia dell’uomo è sempre stata attraversata da diversi confini politici, il cui mutamento nei secoli ha raccontato, e condizionato, l’alterna evoluzione delle dinamiche umane, facendone il terreno di un confronto più o meno aspro fra popolazioni differenti per lingua, cultura e provenienza, che la storia nei secoli ha spinto fino a questo crocevia, facendo di esso uno snodo di primaria importanza in quanto limite orientale della diffusione dei popoli latini, confine meridionale dell’espansione dei popoli germanici e occidentale per i popoli slavi. Queste tre espansioni hanno scelto per differenti motivi queste direzioni: a un’antica presenza latina nella direttrice orientale si è andata sommando una penetrazione germanica in cerca di uno sbocco sul Mediterraneo, a cui si è aggiunta la manodopera agricola slava che, diffusa sul territorio, ha assunto nel tempo consapevolezza nazionale.
La diffusione dei tre ceppi etnici su questo territorio non è mai riuscita a risolversi in maniera definitiva: se la penetrazione germanica è stata discontinua e periodica, l’elemento latino ha privilegiato l’occupazione delle città della costa mentre gli slavi, prevalentemente contadini, si sono sparpagliati nell’agro (Bonetti, 1964). Questa differente distribuzione dipende in ultima analisi da un diverso approccio culturale che avrebbe poi condizionato le tensioni per il controllo della regione: se gli italiani sono portati a ritenere che la campagna segua il destino della città, viceversa gli slavi e i germanici tendono a considerare l’agro il vero centro del territorio.

La situazione di Trieste, inoltre, è complicata dalla netta separazione fra l’entroterra e il litorale, causata dall’aspra conformazione orografica del Carso immediatamente alle spalle della città. Questa particolarità fu ad un tempo la causa e l’effetto dell’incapacità di affermazione, per un periodo significativo, da parte di un potere centrale in grado di imporre unità culturale e territoriale alla regione e di condizionare così sostanzialmente e definitivamente lo sviluppo umano. Al contrario l’assenza di una barriera naturale ben riconoscibile permise il continuo spostamento delle frontiere secondo le contingenze storiche. In particolare durante le invasioni barbariche dell’alto medioevo questa regione si rivelò sostanzialmente inadatta a ricoprire il ruolo di limes militare che la geografia politica le attribuiva: fortificata con alti valli, fu violata ripetutamente fino a costringere i Longobardi a porre la propria linea difensiva su quello che diverrà il limes longobardicus, il limitare cioè fra la pianura friulana e le Prealpi Giulie. Questa linea amministrativa e militare è di grande significato perché rappresenterà da allora, almeno nella sua parte settentrionale, un confine etnico abbastanza netto fra i popoli di diritto latino e gli sloveni e croati, i primi penetrati nella zona delle Prealpi Giulie al seguito dei Longobardi, i secondi importati nella penisola istriana dai bizantini come coloni. Questa sostanziale chiusura del confine agevolò lo sviluppo di una centralità della zona costiera giuliana, che mantenne nei secoli la propria funzione di collegamento fra mondo germanico e mare Adriatico.

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Il saggio completo in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2016-2017, XXVIII-XXIX, pp. 45-69.

“D’Annunzio torna a Pescara”: convegni, musica, teatro dal 7 al 15 settembre

Nel centenario dell’impresa fiumana, dal 7 al 15 settembre 2019, la città natale di Gabriele D’Annunzio ospita la manifestazione “D’Annunzio torna a Pescara – La Festa della Rivoluzione”. In programma concerti, recital, mostre e convegni per ricordare e riflettere a 360 gradi sull’opera del poeta.

La Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice sarà presente con il presidente Giuseppe Parlato, che domenica 15 settembre parteciperà al convegno “100 anni dall’Impresa di Fiume”, con Giordano Bruno Guerri, Claudia Salaris e Stefano Trinchese (Aurum, ore 17.3O).

Martedì 10 settembre il Florian Metateatro Centro di Produzione Teatrale di Pescara, presenterà il recital  Tutto fu ambito e tutto fu tentato”, di Giulia Basel, con la consulenza del vicepresidente della Fondazione, Gianni Scipione Rossi (Aurum, ore 21.00).

Il programma completo in www.dannunzioweek.it

La rivista “Geopolitica” e la questione delle terre irredente tra ambizioni scientifiche, politiche e territoriali

di Arrigo Bonifacio

//Nel gennaio del 1939 uscì il primo numero di “Geopolitica. Rassegna mensile di geografia politica, economica, sociale, coloniale”, rivista fondata dai geografi Ernesto Massi e Giorgio Roletto grazie all’appoggio politico e materiale del ministro per l’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai. Il principale obbiettivo scientifico di “Geopolitica” era quello di strutturare un approccio italiano all’omonima disciplina – la geopolitica – affermandone lo status scientifico come disciplina geografica. La rivista aveva però anche degli obbiettivi di natura politica, ed in particolar modo ambiva a fare della geopolitica «una base dottrinaria della politica estera fascista». Svariati studi hanno evidenziato come globalmente “Geopolitica” fosse principalmente espressione della peculiare realtà politico-culturale della città di Trieste, presso il cui Ateneo era inserito quell’Istituto di Geografia, sede della Direzione della rivista, dove insegnava il piemontese Giorgio Roletto e dove si era formato accademicamente l’altro condirettore di “Geopolitica”, Ernesto Massi, geografo triestino che per primo aveva “importato” in Italia la geopolitica, disciplina che fino a quel momento si era sviluppata soprattutto in Germania.

Presso il medesimo Istituto erano poi attivi numerosi altri redattori e collaboratori della rivista, quali Eliseo Bonetti, Livio Chersi, Renata Pess, Carlo Schiffrer e Dante Lunder. Ad ogni modo collaborarono con “Geopolitica” «tutti i geografi [italiani] dell’epoca»: la creatura di Roletto e Massi era dunque dotata di una rete ben ramificata anche al di fuori dell’Istituto di Geografia dell’Università di Trieste e si estendeva un po’ a tutto il Regno, per farsi però particolarmente fitta a Milano e a Pavia, dove Ernesto Massi era docente di Geografia Politica presso l’Università Cattolica di Milano e la Regia Università di Pavia.
La rete di “Geopolitica” non era tuttavia di natura esclusivamente accademica: Massi e Roletto erano infatti vicini sia all’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (d’ora in avanti ISPI), istituzione notoriamente vicina agli ambienti del Ministero degli Affari Esteri, sia alla Scuola di Mistica Fascista Sandro Italico Mussolini. Per comprendere la vicinanza di Massi e Roletto a questi due enti, entrambi nati negli ambienti dei Gruppi Universitari Fascisti (d’ora in avanti GUF) milanesi e pavesi, basti ricordare che entrambi i direttori di “Geopolitica” erano anche collaboratori di “Dottrina Fascista”, la rivista della Scuola, mentre per quello che riguarda l’ISPI i rapporti furono così stretti che per anni si vagliò l’ipotesi di creare presso l’Istituto di Geografia dell’Ateneo giuliano una sede distaccata dell’ente milanese.

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Il testo completo del saggio in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2016-2017, XXVIII-XXIX, pp. 9-43.