Quale democrazia per la Repubblica? Ripensando il 2 giugno 1946

Se una ricorrenza ha un valore pubblico e civile è perché arricchisce la consapevolezza diffusa presso il maggior numero di abitanti di uno Stato-nazione, avvicinandoli così un po’ di più ad un’autentica condizione di “cittadini”. Il 2 giugno 1946 è la festa nazionale che più di ogni altra potrebbe sanare quelle ferite che l’Italia si porta dietro a seguito di una doppia guerra civile consumatasi nell’arco di un ventennio. La prima esplose tra 1919 e 1922 e fu apparentemente riassorbita con atto d’imperio e la trasformazione, di lì a tre anni, di un sistema costituzional-rappresentativo in una dittatura a partito unico. La seconda, più nota, fu quella che si consumò tra 1943 e 1945 e a cui il 2 giugno più immediatamente pose fine, almeno in una certa misura.

Si potrebbe obiettare che con il referendum istituzionale si manifestò una netta frattura tra sostenitori della monarchia e sostenitori della repubblica. Quel fatidico e fondativo giorno votarono 24.946.878 italiani e italiane (e anche per il voto nazionale alle donne la data è memorabile), pari all’89,10% degli aventi diritto. Si trattò dunque di una partecipazione elevatissima, che non aveva precedenti nella storia delle elezioni libere in Italia. Prevalse la scelta repubblicana con 12.718.641 voti, pari al 54,3%, contro i 10.718.502 suffragi a favore della monarchia, pari al 45,7% dei voti validi. La spaccatura apparve netta, anche in termini Nord-Sud, con la parte centro-settentrionale della penisola a maggioranza repubblicana, il Sud e le isole a maggioranza monarchica. Un’Italia spaccata in due, dunque? Apparentemente sì, ma nella sostanza no. Se infatti andiamo a vedere i contemporanei risultati per l’elezione dell’Assemblea costituente constatiamo che le forze monarchiche, presentatesi sotto un’unica lista elettorale denominata Blocco nazionale della libertà (che raggruppava Partito democratico italiano, Concentrazione nazionale democratica liberale e Centro democratico), ottennero soltanto 637.328 voti, pari al 2,77%, con 16 seggi su 556. Ben poca cosa. Nello stesso giorno in cui oltre il 45% votava a favore del mantenimento dell’istituto monarchico, il voto politico a favore di partiti monarchici era del 2,77%. È ovvio che tanto di quel 45% si espresse altrove in termini partitici, dalla Dc ai liberali (si pensi ad una figura come Luigi Einaudi), per una logica di “voto utile” resa inevitabile in epoca di partiti di massa e di incipiente Guerra fredda, però ciò significa anche che si antepose la scelta democratica alla scelta istituzionale. Questione di priorità: prima la democrazia come contenuto, poi la forma, repubblicana o monarchica che fosse.

Le successive elezioni politiche del 18 aprile 1948, le prime in regime repubblicano e con costituzione vigente, videro il Partito nazionale monarchico (Pnm), ufficialmente sorto il 13 giugno del 1946 all’indomani della sconfitta referendaria, ottenere alla Camera 729.078 voti, pari al 2,78%, e al Senato 393.510, pari all’1,74%. Peraltro il Pnm si presentò in una lista unica con un’altra formazione, l’Alleanza democratica nazionale del lavoro. Anche nel caso del 1948 va tenuto conto della estrema polarizzazione innescata da una Guerra fredda oramai divampata, e al fatto che nella nuova contrapposizione Est/Ovest la Dc riuscì a catalizzare quasi l’intero voto anticomunista, conservatore e filo-occidentale.

Se però proseguiamo nella storia delle elezioni politiche constatiamo che anche nelle successive due competizioni nazionali il voto monarchico non andò oltre il 6,85% (alla Camera) nel 1953, per poi ritornare al 2,23% (sempre alla Camera) nel 1958. Successivamente l’erede del Pnm, ossia il Partito democratico italiano di Unità monarchica di Alfredo Covelli ed Achille Lauro, oscillò tra l’1,75% (alla Camera nelle elezioni del 1963) e l’1,30% (sempre alla Camera nelle elezioni del 1968), per infine sciogliersi nel 1972 e parte di esso confluire nel Movimento sociale italiano-Destra nazionale. Insomma, se forse un sentimento monarchico permase ancora per qualche tempo, non si tradusse più, dopo il 2 giugno 1946, in una forza politica di un qualche significativo peso.

Non fu dunque sulla scelta istituzionale che il 2 giugno di 74 anni fa avvenne la vera divisione del popolo italiano, ed anche per questo meriterebbe sottolineare con forza questa data come la festa ufficiale della Repubblica, in quanto assai meno divisiva del 25 aprile, festa della Liberazione dall’occupazione tedesca e della sconfitta definitiva del fascismo risorto a Salò. Il 2 giugno semmai ci fu convergenza su una scelta a favore della democrazia come contenuto e come metodo. Eppure resta da spiegare come mai la successiva storia repubblicana italiana sia stata caratterizzata da momenti di profondissima divisione interna, culminata in un decennio che sarebbe opportuno non dimenticare mai per evitare che possa ripetersi. Parliamo degli anni Settanta, ovviamente. Gli “anni di piombo”, che tali furono realmente. Pochi giorni orsono è stato ricordato l’omicidio del giornalista Walter Tobagi compiuto da un gruppo terroristico di estrema sinistra il 28 maggio di 40 anni fa. Assassini politici per una sorta di guerra civile in servizio permanente effettivo si sono protratti fino al 2002 (assassinio di Marco Biagi da parte delle nuove Brigate rosse). Sotto il drammatico profilo del terrorismo politico interno l’Italia costituisce un caso unico in tutta Europa, se si escludono situazioni dove esistono annosi conflitti con minoranze territoriali secessioniste.

Se anche si volesse omettere questa fase di estrema acutezza della conflittualità intestina, non possiamo negare che gli ultimi trent’anni della nostra storia repubblicana hanno conosciuto una forte polarizzazione che ha impedito, ad esempio, di giungere a riforme costituzionali condivise. Queste ultime, necessarie per alcuni aggiornamenti della macchina decisionale nazionale, sono state impedite proprio dall’impossibilità di superare una concezione che vede l’avversario politico come il nemico con cui non si scende mai a patti. Il fallimento del tentativo di consolidare un bipolarismo fondato sul principio dell’alternanza al governo sta lì a testimoniarlo. Nei fatti, dal 1994 al 2011 si è assistito alla sua sperimentazione, che però è stata raccontata dal sistema massmediatico e vissuta dagli stessi protagonisti politici, oltre che dall’opinione pubblica, come qualcosa di più simile ad una finale resa dei conti che non alla normale dialettica tra maggioranza e opposizione. Abbiamo vissuto circa vent’anni di drammatizzazione estrema del confronto bipolare e l’antiberlusconismo è stato in tal senso il grido di allarme lanciato contro una democrazia che non sarebbe risultata “normale” nell’Italia di quel più recente ventennio. Dal 2013 ad oggi è poi entrato in gioco un confronto tripolare che comunque di recente sta riconvertendosi in bipolarismo bloccato e bloccante rispetto al fisiologico meccanismo dell’alternanza al governo tra maggioranza e opposizione. Come mai tutto questo? Significa forse che su quella democrazia per cui ci si espresse in modo sostanzialmente uniforme e concorde il 2 giugno 1946 esistevano in realtà sotterranee divergenze e silenti ma profonde contrapposizioni?

Ben più di un elemento di risposta in tal senso possiamo adesso trovarlo in un bel volume in uscita tra pochi giorni nelle librerie di tutta Italia, ne è autore Danilo Breschi, professore di storia del pensiero politico presso l’Università degli studi internazionali di Roma (Unint) e componente del CdA della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice. Il titolo di questa ampia e densa ricerca è eloquente: Quale democrazia per la Repubblica? Le culture politiche nell’Italia della transizione 1943-1946, edito dalla Luni di Milano. Dall’8 settembre 1943 al 2 giugno 1946 si è consumata la grande transizione dal fascismo alla Repubblica, dalla dittatura alla democrazia. Un triennio fecondo e decisivo per la futura storia d’Italia, una breve stagione di grande tensione ideale e di enorme fermento ideologico che prepara il dibattito costituente per una nazione e uno Stato da rifondare. Il libro cerca di rispondere ad un interrogativo cruciale, che è il seguente: quante e quali idee, quante e quali immagini di democrazia circolavano nelle famiglie politico-culturali e politico-partitiche nel periodo di transizione dal fascismo alla Repubblica, appunto tra l’estate del 1943 e l’estate del 1946? E ancora: quanto questa democrazia, da tutti o quasi evocata, fosse qualcosa di più della semplice negazione del recente passato, e dunque non soltanto il rovesciamento della dittatura? Quali gli istituti, le procedure e le finalità nelle quali si sarebbe dovuta tradurre la nuova forma di governo democratica?

In un’Italia che oscilla tra guerra e prima ricostruzione, tra paure e speranze, nei circa tre anni che seguono al 25 luglio 1943 assistiamo al libero risorgere e manifestarsi di tutte le famiglie politiche soppresse dopo l’avvento del fascismo al potere. Ad esse se ne aggiungono di nuove, come l’azionismo, la sinistra cristiana e il qualunquismo. L’ideologia che tutte le accomuna è l’antifascismo, ma per alcuni si aggiunge l’anticomunismo, in nome del più generale antitotalitarismo. In tutti i casi, il triennio 1943-46 mostra una ricchezza ideologica quanto mai ampia e consente di cogliere fermenti, idee e proposte riprese subito dopo nell’Assemblea costituente. Fino al 2 giugno 1946 per molti attori presenti sulla scena politica le soluzioni alla crisi aperta dalla fine del fascismo, e poi dalla fine della guerra, erano numerose e tutte possibili. Attraverso un ricco e dettagliato panorama delle idee politiche presenti nell’Italia di quel triennio il nuovo libro di Breschi consente di capire quali fossero i contenuti fondamentali della cultura alla base della nascente Repubblica. Dai primi vagiti di idee e proposte si può intuire lo Stato che sarebbe venuto poi, le eredità che si sarebbe portato dietro e che oggi sono diventati nodi scorsoi da sciogliere per ridare fiato e slancio alla nazione italiana.

Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice

 

L’autore

Consigliere di amministrazione della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, Danilo Breschi è professore associato di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT), dove insegna anche Elementi di politica internazionale e Storia delle culture politiche. È membro del Research Network on the History of the Idea of Europe, del comitato direttivo della «Rivista di Politica» e del comitato scientifico dell’Istituto Storico per il Pensiero Liberale. Fra le sue pubblicazioni: Camillo Pellizzi. La ricerca delle élites tra politica e sociologia (1896-1979) (con G. Longo, Rubbettino 2003); Sognando la rivoluzione. La sinistra italiana e le origini del ’68 (Mauro Pagliai 2008); Spirito del Novecento. Il secolo di Ugo Spirito dal fascismo alla contestazione (Rubbettino 2010); Meglio di niente. Le fondamenta della civiltà europea (Mauro Pagliai 2017); Mussolini e la città. Il fascismo tra antiurbanesimo e modernità (Luni 2019).

Riapertura della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice

La Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice riaprirà al pubblico lunedì 18 maggio, con orario provvisoriamente ridotto: dal lunedì al venerdì ore 10.30-14.30 e il giovedì ore 10.30-18.00 per garantire il rispetto degli standard di sicurezza per dipendenti e studiosi.

L’accesso alla Biblioteca e all’Archivio sarà consentito ad un numero contingentato di persone solamente su appuntamento, che sarà possibile fissare scrivendo via mail agli indirizzi: archivio@fondazionespirito.itbiblioteca@fondazionespirito.it e aspettando di ricevere conferma.

L’attività di riproduzione dei testi è temporaneamente sospesa.
A ospiti e studiosi è fatto obbligo di mantenere comportamenti che garantiscano la sicurezza di tutti: saranno disponibili gel disinfettanti per le mani e le postazioni saranno disinfettate come da disposizione di legge.

All’interno dell’Istituto sarà obbligatorio l’uso della mascherina e il rispetto del distanziamento sociale di almeno un metro.

 

La quarantena da virus nel “Diario della decrescita infelice” di Gianni Scipione Rossi

Dal confinamento obbligatorio nascono anche analisi sul presente e sul possibile futuro, sia pure con qualche difficoltà causata dalle limitazioni imposte anche alla filiera editoriale. Tra le novità, anche questo volumetto pubblicato dal vicepresidente della Fondazione Gianni Scipione Rossi: Cronache del virus. Diario della decrescita infelice, EFG, Gubbio 2020, pp. 124, €10.00. Il ricavato è destinato alla Caritas.

“Questo libriccino – scrive Rossi nell’introduzione – nasce per caso. È figlio della clausura. E di Facebook, la piazza virtuale che malamente sostituisce le piazze reali. Costretto all’isolamento, via via più stringente, ho cercato di fissare in qualche modo pensieri, sensazioni, riflessioni. Che stanno lì, nella bolla del web. E lì potevano finire. Disperdersi. Insieme al ricordo di una stagione triste, che ci ha colpiti singolarmente e collettivamente come non avremmo potuto im- maginare. Anzi, all’inizio, senza capire che cosa sarebbe successo”.

“In molti, durante la quarantena, – scrive l’autore in sede di conclusione – siamo stati costretti a parlarci telematicamente. Si sono fatte lezioni universitarie a distanza, e tante altre belle cose, compresi incontri collettivi per passare il tempo. Skype, Zoom o quel che volete voi sono utili. Ma sono surrogati. E io non voglio vivere di surrogati. C’è il tempo della solitudine, del raccoglimento. E c’è il tempo del confronto. Voglio vedere gente, stringere mani, discutere, litigare… guardando in faccia l’interlocutore. Voglio vivere, insomma. Non passare dall’alienazione di Charlot alla catena di montaggio di Tempi moderni all’alienazione dell’intelligenza artificiale. La quale è, appunto, artificiale”.

Cronache dal virus può essere acquistato richiedendolo a

fotolibri@alice.it

oppure online su

https://www.amazon.it/Cronache-virus-Diario-decrescita-infelice/dp/8885581382/ref=sr_1_6?dchild=1&qid=1592063808&refinements=p_27%3AGianni+Scipione+Rossi&s=books&sr=1-6

https://www.libraccio.it/libro/9788885581388/gianni-scipione-rossi/cronache-del-virus-diario-della-decrescita-infelice.html?fbclid=IwAR01vUkfq2tnCGuU_3Cct3ozUrHFut1-knB5P_JuGn99rMp1KuHc-iagfb8

Cultura, Valdo Spini (AICI): “Ampliare l’Art Bonus: la cultura non si ferma”

Roma, 29 aprile 2020 – Promuovere la cultura come “strumento essenziale per il rilancio del sistema paese”. La richiesta arriva dall’Associazione delle Istituzioni di cultura italiane (AICI), che comprende 120 tra fondazioni e istituti culturali, in concomitanza con l’assemblea dei suoi soci, che si è svolta via web ieri, martedì 28 aprile.

Per ripartire, dopo l’emergenza sanitaria, occorreranno dunque stanziamenti ad hoc. In particolare l’AICI allude “alla proposta, sostenuta da Federculture, di istituire un Fondo per la cultura, non alternativo al finanziamento pubblico e delle fondazioni bancarie, bensì integrativo – come ha spiegato Valdo Spini, presidente l’AICI, introducendo l’assemblea dell’associazione – . Aderiamo a questa iniziativa di #unfondoperlacultura, un appello che ha già raccolto migliaia di firme, e riteniamo necessario riportare l’attenzione sul tema del finanziamento della cultura nel dopo emergenza: basta tagli, servono invece nuovi investimenti su un comparto che sarà ancora più cruciale per l’Italia, la sua economia, la sua società, nei prossimi mesi”. Il fondo in questione avrebbe per oggetto prevalentemente le imprese culturali. “La nostra proposta, in particolare, – continua Spini – è quella di una misura specifica per gli enti attivi in ambito culturale, che mira all’allargamento dell’Art Bonus, (il credito di imposta pari al 65% dell’importo donato a chi effettua erogazioni liberali a sostegno del patrimonio culturale pubblico italiano) proprio ad istituzioni come le nostre. Nella forma, si tratta di inserire, nell’art.1 del d.l. 83/2014, “le fondazioni e gli istituti culturali dotati di riconoscimento giuridico”, con lo scopo in sostanza di trovare le coperture necessarie ed incentivare il finanziamento privato alle nostre attività”.

“Per ciò che concerne i nostri appuntamenti – ha aggiunto Valdo Spini –, abbiamo deciso di rinviare alla primavera del 2021 la conferenza nazionale, che si terrà a Cagliari. Non appena vi saranno le condizioni, abbiamo inoltre intenzione di promuovere al più presto un incontro dal titolo “Riparti cultura”, un’iniziativa che vorremmo organizzare a Milano, nel territorio più colpito dalla pandemia, con la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e gli altri istituti della Lombardia (Istituto Parri, Fondazione Kuliscioff, Fondazione Micheletti e tutti gli altri)”.

La cultura non si ferma

Nel frattempo, anche in queste settimane di lockdown l’attività delle associazioni impegnate nella ricerca, nella conservazione e nella promozione della cultura in tutti i suoi aspetti, non si è mai fermata. “Molti istituti culturali – ha concluso il presidente dell’AICI – hanno attivato canali di comunicazione digitale per diffondere i loro contenuti, far conoscere e valorizzare il patrimonio collettivo. Anche il nostro sito ha registrato un flusso crescente di notizie dai soci e, sulla base della positiva esperienza del Dantedì, con i video realizzati dall’Accademia della Crusca, è stata aperta, nella sezione “Notizie dagli Istituti” una pagina ad hoc, dedicata ai video prodotti dagli associati. Vogliamo essere vicini ai cittadini, in queste settimane difficili, ricordando loro il contributo e il valore che la cultura italiana, in ogni suo aspetto, rappresenta”.


L’AICI, Associazione delle istituzioni di Cultura italiane, è stata costituita nel 1992 da un gruppo di associazioni, fondazioni e istituti culturali di grande prestigio e consolidata attività. I suoi 120 Soci, distribuiti sull’intero territorio nazionale, dall’Accademia della Crusca all’Istituto Italiano per gli Studi storici, svolgono attività di ricerca, conservazione e promozione nei più diversi ambiti della produzione culturale. La missione istituzionale dell’AICI, è “tutelare e valorizzare la funzione delle Istituzioni di cultura, nelle quali la Costituzione della Repubblica riconosce una componente essenziale della comunità nazionale”.

“Pausa dello spirito”, approfondimenti video sulla pagina Facebook

Oltre l’emergenza …

#laculturanonsiferma anche per la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice

La Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice desidera affermare, con tutte le istituzioni culturali italiane, che #laculturanonsiferma e presenta la propria iniziativa on line.

In questo momento così difficile nel quale siamo costretti a restare a casa, la Fondazione intende mostrarsi attiva almeno dal punto di vista della formazione e della comunicazione. Se la sua sede è fisicamente chiusa, dal punto di vista operativo e degli uffici, vorremmo comunque dare uncontributo alla formazione a distanza attraverso brevi interventi che possano essere trasmessi in linea attraverso i canali oggi più diffusi della comunicazione via internet. Vorremmo lanciare un momento di pausa costruttiva, di riflessione, una Pausa dello Spirito che dovrebbe essere anche una pausa per lo spirito.

Si è pertanto pensato di realizzare brevi riflessioni, della durata massima di 15 minuti, relativi ad argomento di carattere vario, generalmente storico, filosofico, economico, geografico e giuridico, svolti da collaboratori e da amici della Fondazione  su tematiche ad essi consone, brevi video che saranno in onda il mercoledì e la domenica alle ore 18.00, nella pagina Facebook della Fondazione, https://it-it.facebook.com/FondazioneSpirito

Ecco gli appuntamenti:
Giuseppe Parlato, “Gli scritti giornalistici di Renzo De Felice” (22 marzo)
Fabrizio Bugatti, “Lawrence d’Arabia” (26 aprile);
Giuseppe Pardini, “L’apparato del Pci” (29 aprile);
Federica Formiga, “Le copertine degli opuscoli della prima guerra mondiale” (3 maggio);
Silvio Berardi, “il profilo di Cesare Merzagora” (6 maggio)

10 maggio, Davide Rossi, L’emergenza nelle Costituzioni

13 maggio, Ester Capuzzo, Il turismo in Italia tra le due guerre mondiali

17 maggio, Alessandra Cavaterra, Ottavio e Neos Dinale

20 maggio, Danilo Pirro, Cesare Bazzani fra modernismo e tradizione

24 maggio, Danilo Breschi, Furet e Il passato di una illusione

27 maggio, Rodolfo Sideri, Gentile e il Covid 19

L’adesione dell’Aici all’appello per il “Fondo per la Cultura”

Il presidente dell’Aici, Valdo Spini, con questa lettera pubblicata il 15 aprile dal “Corriere della Sera”, aderisce all’appello lanciato da quotidiano per la costituzione di un Fondo per la Cultura, a sostegno delle istituzioni messe in grandi difficoltà dall’emergenza. La Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice aderisce all’Aici e concorda con l’iniziativa del suo presidente.

Di seguito la lettera di Valdo Spini.

Caro direttore, le scrivo come presidente dell’Associazione delle Istituzioni Culturali (Aici) forte di 116 soci tra fondazioni e istituti culturali del nostro Paese, che si sono unite in modo del tutto volontario, ma che di fatto coprono larga parte del settore, dall’Accademia della Crusca all’Istituto Italiano per gli Studi Storici, alle varie fondazioni intitolate ai protagonisti delle culture politiche della Repubblica, nonché fondazioni di cultura musicale, filosofica, industriale e identitaria di vari territori della nazione.

Abbiamo letto sul suo giornale dell’appello lanciato da Pierluigi Battista e rilanciato da Federculture e altri organismi del settore, perché in questa drammatica situazione di emergenza si proceda alla costituzione di un Fondo nazionale per la Cultura, uno strumento di investimento garantito dallo Stato, aperto alla partecipazione e ai contributi di tutte le cittadine e di tutti i cittadini.

La cultura, nelle sue differenziate accezioni, è un settore che può particolarmente soffrire sia per le conseguenze del distanziamento sociale che per il venir meno di finanziamenti e mecenatismi.

L’Aici non rappresenta le imprese culturali, bensì le istituzioni di ricerca, di conservazione di beni, di dibattito e di trasmissione di contenuti culturali che operano attraverso archivi, biblioteche, pubblicazioni nonché, spesso, con riviste culturali che molte delle nostre fondazioni editano. Anche queste attività, che hanno trovato peraltro il sostegno del Mibact, sono messe a rischio dalla pandemia Covid-19 e dai suoi effetti.

Per questo solidarizziamo con l’iniziativa e aderiamo alla proposta di un Fondo nazionale per la Cultura non alternativo al finanziamento pubblico (Stato, Regioni, Enti locali) e delle fondazioni bancarie, ma integrativo rispetto a questi e, soprattutto, in grado di mobilitare l’interesse e il concorso di quanti intendano sostenere la cultura italiana. Siamo naturalmente pronti a discuterne i contenuti e le articolazioni.

Valdo Spini

15 aprile 2020

Tre fondi librari dichiarati di eccezionale interesse

La Soprintendenza archivistica e bibliografica del Lazio ha proceduto alla dichiarazione di eccezionale interesse di alcuni fondi librari conservati dalla Fondazione, le biblioteche di Ottavio Dinale (provv. 9 marzo 2020), Araldo di Crollalanza (provv. 10 marzo 2020) e Giuseppe Di Nardi (provv. 10 marzo 2020).

Araldo di Crollalanza fu giornalista, podestà di Bari dal 1926 al 1928, sottosegretario poi ministro dei Lavori pubblici negli anni Trenta, senatore della Repubblica per otto legislature, consigliere comunale di Bari dal 1956 al 1976. La sua biblioteca (1.600 volumi circa) comprende, prevalentemente, pubblicazioni (anche fotografiche) relative alle opere pubbliche in Italia negli anni Trenta/Quaranta, nonché interessanti volumi relativi all’Africa italiana. Di Araldo di Crollalanza la Fondazione possiede anche l’archivio.

Il Fondo librario Giuseppe Di Nardi, acquisito dalla Fondazione nel 1994, è composto di 2780 volumi e possiede una spiccata caratterizzazione economico-finanziaria, dovuta al suo produttore; economista, docente universitario e consulente di numerosi enti economici, pubblici e privati. La sua biblioteca contiene testi classici, edizioni rare, manuali e volumi antichi e moderni

La biblioteca di Ottavio Dinale, sindacalista rivoluzionario, giornalista, poi prefetto fascista, conserva volumi sul corporativismo, sul diritto corporativo e sul sindacalismo che riflettono il suo profondo interesse e la sua sollecitudine verso le problematiche del lavoro e delle condizioni di vita dei lavoratori.

Acquisito l’archivio dell’umorista e disegnatore Gianni Isidori

La Fondazione ha acquisito l’archivio di Gianni Isidori (1931-2019), umorista, disegnatore, sceneggiatore, pubblicista.

L’archivio, nella sua unitarietà, comprende documentazione prodotta principalmente tra la fine degli anni Quaranta e il primo decennio del Duemila, per un totale di circa 10 m.l., cui vanno aggiunti circa 20 cartelle porta disegni di grande formato, 25 volumi rilegati (e alcuni numeri non rilegati) del settimanale umoristico illustrato «Travaso delle idee» (1947-1959, con lacune). La documentazione, parzialmente inedita, è costituita in gran parte da tavole di vignette originali, pubblicate su vari quotidiani o riviste satiriche, disegni e storyboard, sceneggiature per programmi radiofonici e trasmissioni televisive, telecommedie, sketches, soggetti cinematografici e teatrali, copioni e testi letterari. I materiali, parzialmente inediti, sono raccolti entro cartelle originali e talvolta sono dotati dell’indicazione del contenuto; sono inoltre presenti anche rudimentali strumenti di ricerca a corredo dei fascicoli.

Il 27 marzo 2020 la Soprintendenza archivistica e bibliografica del Lazio del Mibact  ha avviato il procedimento per il riconoscimento dellinteresse storico particolarmente importante dell’archivio.

Formazione a distanza: attivo il Corso “Capire il ‘900”

È oramai iniziato il Corso di Formazione della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice “Capire il ‘900”: un corso che ha lo scopo di approfondire la storia del Secolo breve da diversi punti di vista disciplinare: storia, filosofia, economia, geopolitica…
Grazie all’accordo con l’associazione Tokalon il corso viene erogato a distanza ed è quindi frequentabile da chiunque comodamente da casa, grazie alla registrazione dei video visionabili in differita in qualunque momento da qualunque computer, tablet o persino dal cellulare.
Il corso costa 150€ e dà diritto all’attestato di frequenza e ai crediti formativi.
Il corso nasce per i docenti delle scuole superiori – che potranno pagare con la Carta del docente – ma è aperto agli studiosi, ai curiosi, e a tutti coloro che vorranno usare questo tempo di Quarantena per approfondire la propria formazione, aiutando la Fondazione in questo particolare momento.
Per iscriversi e per informazioni è possibile scrivere a: