Mercoledì 3 giugno 2009, Giovanni Mario Ceci ha parlato agli ospiti della Fondazione Ugo Spirito del suo saggio Renzo De Felice storico della politica (Il Mulino).
Ceci è stato presentato dal presidente della Fondazione Giuseppe Parlato – che ha sottolineato come il metodo defeliciano non invecchi col passare degli anni – e introdotto da Renato Moro (Università di Roma Tre), che ha evidenziato come il saggio di Ceci sia il primo scritto da un autore di una nuova generazione, che non ha conosciuto direttamente lo storico e che ha applicato a De Felice il suo proprio metodo.
L’autore ha quindi esposto una panoramica sull’opera dello storico reatino. “Complessità” è dunque per Ceci la parola chiave per comprendere il lavoro di De Felice come ricercatore e intellettuale. Egli ha infatti basato il proprio lavoro su un approccio molteplice alla storia, con l’attenzione al dato culturale prima che a quello fattuale e introducendo il concetto che i valori soggettivi degli attori politici sono determinanti come e forse più dell’aspetto classista o del sostrato economico di un dato periodo. Grazie all’influenza di storici come Chabod, Bloch, Febvre ma anche di politici come Gramsci e sociologi come Pareto, De Felice ha introdotto nel suo metodo di lavoro anche l’attenzione per la cultura delle masse, giungendo così ad una visione per tessere o “a mosaico” del racconto storiografico. Un metodo che De Felice ha applicato tanto nel suo grande affresco – incompiuto – della biografia di Mussolini, quanto ai suoi studi giovanili sul periodo giacobino. Uno dei contributi fondamentali di De Felice al nuovo metodo storiografico è quello di aver posto l’accento sul dato culturale piuttosto che sulla lettura ideologica dei fatti e sugli uomini protagonisti degli eventi piuttosto che sui concetti.
Ceci ha quindi evidenziato che De Felice è stato il primo storico italiano a riconoscere l’esistenza di una cultura fascista tout court, ed il primo a fornire delle definizioni di fascismo come cultura, come atteggiamento mentale o stato d’animo. Un’importanza tale – quella dello stato d’animo e dell’atteggiamento mentale – per De Felice, da portarlo al famoso paradosso che molti hanno poi strumentalmente usato per attaccarlo: quello della Rsi, ai protagonisti della quale lo storico riconosce delle aspirazioni patriottiche, ma – per converso – vede poi l’eterogenesi dei fini e i risultati disastrosi, primo fra tutti l’esser causa dello scoppio della Guerra civile.
Ultimo punto messo in luce da Ceci del percorso di De Felice come storico della politica è l’analisi del fascismo come fenomeno duplice, diviso in regime e movimento. Il primo caratterizzato da forza d’inerzia e aspirazioni autoritarie e reazionarie, oltreché da una notevole presenza di fiancheggiatori in ultima analisi antifascisti. Il secondo caratterizzato da aspirazioni totalitarie e vis rivoluzionaria. Due forze fra le quali Mussolini si trova a dover mantenere un equilibrio.
Recensioni
Giovanni Belardelli, Quando De Felice per capire il fascismo s’ispirava a Gramsci,
in «Corriere della Sera», 14 ottobre 2008
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