Giovedì 14 gennaio 2010 nel quadro degli incontri “Un libro, un autore tra storia e attualità“, è stato presentato il libro di Alessandra Tarquini, Il Gentile dei fascisti. Gentiliani e antigentiliani nel regime fascista (Il Mulino, 2009).
L’incontro è stato introdotto da Giuseppe Parlato, che ha ricordato l’immagine controversa di Giovanni Gentile, guardata con sospetto anche da settori della destra, in particolare dagli ambienti evoliani, che lo consideravano “un pericoloso arnese della rivoluzione”. Affermazione successivamente comprovata dal percorso seguito dagli allievi di Gentile nel dopoguerra, quando tutti, o quasi, passarono al marxismo e al comunismo, continuando a seguire un orientamento rivoluzionario evidente già nel pensiero del maestro.
L’intervento della Tarquini ha dunque trattato del rapporto tra Gentile e i fascisti, con l’obiettivo di rispondere ad alcuni interrogativi: Gentile è stata l’unica vera espressione della cultura fascista, come sostenuto da Augusto Del Noce? Oppure, come ha sostenuto Eugenio Garin, il fascismo ha avuto una cultura ben definita che però era molto diversa da quella gentiliana?
L’Autrice ha sintetizzato la sua analisi suddividendola in due periodi temporali: gli anni ’20 e gli anni ’30.
Il primo è il decennio in cui ha origine il conflitto tra i fascisti e Gentile, a proposito della legge sulla riforma della scuola. Il progetto di Gentile – ministro dell’Istruzione nel primo governo Mussolini – si fondava sulla concorrenza tra istituti pubblici e privati nel settore dell’educazione, cozzando con il programma del partito che invece affermava il primato dello Stato. A prevalere fu comunque la posizione di Gentile e dei suoi allievi e collaboratori (Ernesto Codignola e Armando Carlini), che fino alla fine degli anni Venti riuscirono a respingere l’offensiva degli intransigenti, secondo cui il fascismo avrebbe dovuto abbattere ogni ponte con le ideologie e le figure della vecchia Italia liberale, per dar vita ad uno Stato nuovo.
La Tarquini ha poi evidenziato il mutamento dei rapporti di forza negli anni Trenta, quando molti allievi si allontanarono da Gentile per avvicinarsi a Giuseppe Bottai (su tutti Ugo Spirito), che riuscì a coinvolgere gli intellettuali nel percorso rivoluzionario invocato dagli intransigenti. In questo modo Bottai riuscì ad avviare un progetto volto ad identificare cultura e politica (a vantaggio ovviamente del secondo termine). Progetto che doveva trovare il suo compimento nell’adozione di una riforma sulla completa “fascistizzazione” della scuola, in sostituzione della legge Gentile. Si trattava di un disegno che coinvolse un fronte composto da antigentialiani ed ex-gentiliani, dimostrando, secondo l’Autrice, che se da una parte il fascismo non può essere incarnato nella figura di Gentile, dall’altra il pensiero del filosofo non ne può neanche essere escluso.