All’origine dello scontro tra jihad e democrazia
Un luogo comune dell’opinione sedicente “democratica” è la tesi che il terrorismo islamico sia una reazione ai misfatti dell’occidente, un prodotto del suo colonialismo, del suo razzismo e dello sfruttamento economico dei paesi sottosviluppati. Esistono molti argomenti solidi per confutare questa tesi. In parte, sono forniti dagli stessi estremisti islamici, quando manifestano non un’opposizione politica bensì un rifiuto ontologico dell’occidente. Esistono inoltre argomenti indiretti. Se quella tesi fosse fondata, occorrerebbe spiegare perché l’Africa non islamizzata – che è la vittima per eccellenza dei misfatti coloniali – non spedisce kamikaze e non segue le vie scelte dall’estremismo fondamentalista. Al contrario, gran parte dell’Africa è oggi vittima non soltanto del disinteresse e dell’incomprensione dell’occidente, ma di un’espansione neocolonialista del mondo islamico. Qui interviene il terzo tipo di argomenti: l’islam non appartiene propriamente al mondo di sottosviluppo. L’islam è sempre stato un protagonista di prima grandezza della storia mondiale e le situazioni critiche in cui si trovano molti dei paesi arabi e islamici sono, in larga misura, conseguenza di libere scelte che hanno lontane radici storiche. Tutti questi argomenti possono essere sviluppati dettagliatamente, ma Carlo Panella – nel suo recente “Il libro nero dei regimi islamici” edito da Rizzoli – non se ne è accontentato e ha trovato una confutazione più diretta e radicale del luogo comune di cui si diceva all’inizio nell’analisi storica del fondamentalismo islamico nell’ultimo secolo. Malgrado l’analogia del titolo con “Il libro nero del comunismo” di Stephane Courtois e altri, il libro di Panella non ha tanto l’intento di raccogliere una documentazione di crimini, quanto di dimostrare una tesi, cioè che lo scontro tra jihad e democrazia in mezzo al quale ci troviamo, che insanguina mezzo mondo, ha lontane origini in una fatwa contro l’occidente lanciata quasi un secolo fa: “In un uggioso giorno di novembre del secolo scorso, centinaia di migliaia di arabi decisero dove puntare il fucile. Sbagliarono, continuarono a sbagliare, ripetendo all’infinito quell’errore”, è l’incipit del libro. La ricostruzione storica della coazione a ripetere di quell’“errore” è dettagliata e convincente. Resta soltanto il dubbio se parlare di “errore” non sia troppo ottimistico: uno sguardo al percorso storico fornisce l’impressione di un andamento altalenante, cosparso di pesanti sconfitte ma che ci presenta oggi un integralismo islamico più agguerrito e pericoloso che mai. Un’osservazione importante: la ricostruzione di Panella non si riduce affatto a presentare lo scontro tra jihad e democrazia come un conflitto tra occidente e islam. Al contrario. Non a caso uno dei termini dell’antitesi è la “democrazia” e non l’occidente. Due sono gli aspetti dello scontro. In primo luogo, il manifestarsi di un’enorme faglia che attraversa il mondo islamico e contrappone lo spirito fondamentalista e jihadista a una tradizione pacifica, civile e colta che ha lontane e profonde radici ma che è sempre più intimidita e violentata. In secondo luogo, questa faglia trova una corrispondenza puntuale e alimento in una serie di contraddizioni e di conflitti interni all’occidente. La ricostruzione di Panella delle vicende del sionismo e della costituzione dello stato di Israele è esemplare: non ci troviamo soltanto di fronte a un sistematico e radicale rifiuto da parte araba e islamica – che si dipana dall’alleanza con il nazismo, al nazionalismo panarabo, allo schieramento fondamentalista attuale – ma a un succedersi di atteggiamenti altalenanti da parte occidentale, contrassegnati anche da ambiguità e ostilità, e dall’incapacità di comprendere la natura della posta in gioco. Un secolo di conflitto mal compreso o che addirittura non si è voluto – e non si vuole – neppure vedere, e di conseguenza mal gestito da parte dell’occidente, ha condotto a una situazione ben descritta nel finale del libro: “Un’isteria totalitaria e violenta si è radicata dentro una delle religioni del Libro. Come contrastarla è il tema della questione islamica oggi: un problema non solo per l’occidente e la cristianità minacciati, ma innanzitutto per quei musulmani che ancora credono nell’islam quale religione di pace, che non considerano il jihad come un valore assoluto, che costituiscono ancora la maggioranza della umma, anche se una maggioranza sempre più erosa e, purtroppo, silente”. Colpisce che il libro inizi con un’epigrafe tratta da uno scritto di Tahar Ben Jelloun, in cui questi chiama a “riconoscere le nostre lacerazioni, i nostri tradimenti, le nostre incompetenze”, a “far pulizia in casa nostra” e parla di mura di una prigione, “mura interne che impediscono ogni emancipazione, ogni audacia dello spirito”. Sono parole che illustrano la inaudita gravità del problema, quando si pensi che esse coesistono con espressioni di grande intolleranza che lo stesso Ben Jelloun ha saputo pronunziare in altre occasioni. È allora chiaro che il vero problema è di comprendere a fondo le ragioni dell’enorme faglia descritta da Panella e del silenzio, o del balbettare contraddittorio, della maggioranza musulmana che rifiuta l’idea della guerra di civiltà. A noi sembra che esse risiedano nel rapporto mai sciolto tra islam e modernità. Uno dei due aspetti principali di questo rapporto irrisolto è ben noto, e riguarda le relazioni tra religione e società civile, più in generale la possibilità di far coesistere il riconoscimento dei diritti universali dell’uomo e l’adesione ai principi della religione islamica. Vi è poi un altro aspetto, raramente menzionato ma non meno importante, che riguarda il rapporto con la scienza e la tecnologia, per lo più viste nelle società islamiche come uno strumento meramente pratico da utilizzare in senso opportunistico, senza alcun valore sul piano della conoscenza. In definitiva, il divorzio tra islam e modernità è iniziato proprio su questo terreno e tanti secoli fa: dopo aver grandemente contribuito ad accumulare i mattoni della futura società scientifico-tecnologica, l’islam se ne è ritirato accettando la tesi integralista secondo cui qualsiasi forma di conoscenza è impossibile e l’unica esperienza terrena valida è quella religiosa. Ma proprio qui tocchiamo l’estrema gravità della situazione. L’occidente esibisce oggi un crescente distacco scettico nei confronti dei principi etici su cui ha basato la concezione universalistica dei diritti dell’uomo e una visione utilitaristica della tecnologia sempre più lontana dagli ideali di conoscenza e sprovvista di qualsiasi fondamento morale. In tal modo, si fornisce alimento alla convinzione del fondamentalismo islamico di poter riempire il vuoto etico, spirituale e religioso dell’occidente con la propria visione teocratica e integralista della società.
GIORGIO ISRAEL
Da “Il Foglio”, 14 giugno 2006
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