L’eterna “questione meridionale” e i nuovi strumenti di intervento nel saggio di Michele Pigliucci

Nell’ambito delle politiche di sviluppo territoriale, l’Italia ha recentemente introdotto le Zone Economiche Speciali da istituire nelle otto regioni del Mezzogiorno, sulla scorta delle esperienze analoghe che in diversi Paesi in tutto il mondo hanno aiutato territori in ritardo di sviluppo a uscire dallo stato di minorità grazie all’attrazione di investimenti stranieri.

All’analisi e alle prospettive di questa scelta è dedicato il recente saggio Le zone economiche speciali nel Mezzogiorno d’Italia di Michele Pigliucci, docente universitario di geografia economica e politica e di geografia del turismo, e direttore della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice.
La sola istituzione delle ZES non è tuttavia di per sé sufficiente a garantire sviluppo economico: per ottenere questo risultato, la misura deve essere accompagnata da scenari strategici di medio periodo in grado di valorizzare il capitale territoriale e dare certezza agli investimenti strutturali e infrastrutturali. Attenti processi di valutazione devono accompagnare il policy making per attuare scelte sostenibili. Il libro intende dunque offrire sostegno al dibattito politico europeo e nazionale, analizzando i Piani di sviluppo strategico delle Regioni, proponendo soluzioni complesse che garantirebbero al Mezzogiorno opportunità di rilancio competitivo, prerequisito affinché l’Italia eserciti il proprio ruolo nel panorama transnazionale.

Un lavoro importante, come sottolinea in sede di prefazione Maria Prezioso, ordinario di geografia economica e politica nell’Università di Tor Vergata, nel quale <il costante richiamo al capitale umano fatto dal Pigliucci non è casuale>. Rilancia infatti <come solo i giovani ricercatori sanno fare – una “Questione meridionale” mai conclusa, per cui lo strumento legislativo potrà essere effettivamente efficace solo nel caso in cui lo stesso preveda – al di là degli esoneri e delle agevolazioni fiscali – un sistema socio-operativo maggiormente favorevole rispetto a quello ordinario rappresentato da procedure amministrative rapide e certe. Lo fa con articolare riferimento ai piccoli comuni a rischio spopolamento e alle periferie metropolitane considerando lo ZES un modo particolarmente adatto per interpretare il futuro della coesione in Italia>.

Michele Pigliucci, Le zone economiche speciali nel Mezzogiorno d’Italia, Nuova Cultura, Roma 2019, pp. 134, € 26.

 

La questione settentrionale fra dualismi territoriali e trasformazioni economiche

di Filippo Sbrana

//Nel dibattito pubblico italiano la cosiddetta “questione settentrionale” diventa un tema di rilievo nel 1992, a seguito della significativa affermazione della Lega Nord nelle elezioni politiche. Non è un evento improvviso ma il punto di arrivo di un processo almeno ventennale, che in un lasso di tempo relativamente breve contribuisce a determinare due avvenimenti di grande rilievo nella storia dell’Italia repubblicana: il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica e la rapida scomparsa dalle priorità del Paese della questione territoriale che aveva lungamente caratterizzato la storia italiana, quella meridionale.
Si tratta di una vicenda complessa, che vede convergere elementi economici e sociali ma anche politici e culturali, dinamiche locali e problemi nazionali, dati oggettivi e percezioni soggettive. Generalmente viene analizzata dagli anni Ottanta, perché in quella fase si manifesta il fenomeno leghista, che a lungo ne rappresenta «il riassunto, lo specchio e l’attore principale». Tuttavia, in una lettura d’insieme del fenomeno, gli avvenimenti degli anni Settanta rappresentano una premessa imprescindibile per comprendere la questione settentrionale. All’origine infatti vi sono i rapidi e rilevanti cambiamenti economici intervenuti alla metà degli anni Settanta, ai quali seguono risposte politiche inadeguate che generano nel Nord un forte “malessere”. Questo si diffonde in larghi strati della popolazione delle regioni più ricche, di fronte ad uno Stato centrale percepito come assente o addirittura come ostacolo per lo sviluppo economico e l’amministrazione del territorio, favorendo progressivamente l’esaurimento di una visione unitaria e solidale del Paese. L’intento di questo contributo è di mettere a fuoco le premesse economiche e sociali della crisi fra Nord e Sud, la diffusione di un crescente malessere nella società settentrionale e le conseguenze politiche che s’inter- secano con il crepuscolo della Prima Repubblica.

Crisi economica, regioni e malessere verso il Sud
La questione settentrionale è una vicenda relativamente recente, ma ha radici antiche. La polemica contro il centralismo dura infatti da lungo tempo, in un’area del Paese particolarmente proiettata nella sfera economica, venata d’insofferenza verso uno Stato percepito come burocratico, lontano da istanze di matrice produttive e accentrato. Già nell’età liberale, trasversalmente alle sue diverse componenti laiche e cattoliche, il pregiudizio verso il centralismo è forte. Eppure si accompagna alla scelta di non impegnarsi politicamente in prima linea a livello nazionale, nonostante la vita politica locale sia vivace e generatrice d’importanti innovazioni. Ci sono alcune eccezioni, ma in linea di massima le elite settentrionali – in modo particolare milanesi e lombarde – preferiscono dedicarsi alle attività economiche o all’impegno politico locale, piuttosto che all’amministrazione dello Stato.
In età repubblicana, le origini della vicenda sono negli anni Settanta e s’incardinano in due vicende fra le più importanti di questo decennio: la prima è la pesante crisi economica che investe il Paese, l’altra è l’attuazione dell’ordinamento regionale, di cui si dirà nelle pagine seguenti. La crisi prende le mosse dallo shock petrolifero del 1973, che s’innesta sulle turbolenze seguite all’inconvertibilità del dollaro e in Italia si somma ad altri elementi di fragilità dell’economia. È una vicenda fortemente periodizzante nella storia economica e non solo.

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Il saggio integrale in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2012-2013, XXII-XXIII, pp. 69-90.