Autoritarismo(s), clases medias y el problema de las generaciones

di Ana Grondona//

El texto que presentamos (“Ceti e generazioni alla vigilia della Marcia su Roma”) forma parte del Fondo documental de Gino Germani, custodiado por la Fondazione Ugo Spirito e Renzo de Felice. Este sociólogo ítalo-argentino (1911-1979) ha sabido cosechar, al menos hasta ahora, más interés entre públicos latinoamericanos que europeos. Sin embargo, buena parte de sus preguntas e intuiciones mantienen una inocultable vigencia a ambos lados del Atlántico. Si en el caso de la Argentina, país en el que, quizás, su inter vención en el campo cultural haya resultado más prolífica, nos enfrentamos al desafío de desestabilizar ciertos clichés con los que suele asociarse su figura (por ejemplo, como mero “importador” de la sociología funcionalista), en el caso de Italia el reto es atraer la atención sobre su trabajo. Paradójicamente, el éxito de su trayectoria latinoamericana parece haberlo relegado, frente a algunos ojos, al papel de sociólogo estricta y estrechamente ocupado en asuntos exóticos. Por el contrario, su trajín de (doblemente) exiliado lo convierte, para miradas más dispuestas a romper con el eurocentrismo, en un sociólogo universal. Al decir del filósofo latinoamericano Eduardo Grüner (2010) la periferia, de la que (a su modo) Germani hizo su punto de vista, constituye una perspectiva privilegiada, pues desde allí puede observarse el todo (por caso, la modernidad capitalista), la parte (por caso, lo que otrora se denominaban los “países semi-coloniales”, “periféricos” o “dependientes”) y la relación entre ambos.
Por cierto, Germani fue un autor “obligado” a la traducción en múltiples sentidos. La experiencia imborrable del exilio, tal como ha señalado agudamente Ana Germani (2015), lo impulsó a la comparación entre culturas, historias y experiencias.

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Ceti e generazioni alla vigilia della Marcia su Roma

di Gino Germani

La crisi del primo dopoguerra fu l’espressione di un profondo “spostamento” di tutti gli strati sociali e specialmente delle generazioni più giovani – sul piano psicologico, economico, politico e sociale. Anche se fortemente aggravato da caratteristiche proprie dello sviluppo storico dell’Italia, si trattava di un fenomeno comune a molti paesi. Due componenti strettamente intrecciati sono la sua radice. Il più visibile, il trauma della guerra, si inseriva in un processo di lunga durata. Al vertice della piramide sociale, la crescente concentrazione tecnico-economica e l’incipiente trasformazione della classe politica con l’emergere dei primi partiti di massa. Alla base, una potente spinta verso la conquista dei pieni diritti, nell’ordine politico, economico e sociale, in cui erano coinvolte tutti gli strati popolari, compresi gli agricoli. Al centro infine, il declinare di settori arcaici, il sorgere di nuovi, e soprattutto, il contraccolpo dei mutamenti ai due estremi. Per i ceti medi, minacciati dall’alto e dal basso, non si trattava solamente di perdite economiche, ma anche di potere politico e di prestigio. La guerra aveva accelerato il processo: l’immersione delle classi popolari nella vita nazionale, culminata politicamente con il suffragio universale e lo spettacolare aumento dell’organizzazione sindacale, si rendeva socialmente più visibile con la partecipazione attiva di settori fino allora del tutto marginali.

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I testi completi del saggio di Ana Grondona e dell’inedito di Gino Germani in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2019, n. 1, nuova serie, a. XXXI, pp. 257-276.

 

Il populismo latinoamericano e la crisi della democrazia europea

Pasquale Serra, Populismo progressivo. Una riflessione sulla crisi della democrazia europeaCastelvecchi, Roma 2018

Sia pure senza fare esplicito cenno a neo-sovranismi e neo-populismi pentastellati, l’autore ritiene che i caratteri dell’attuale crisi politica italiana ed europea siano difficilmente comprensibili attraverso l’uso delle consolidate categorie destra-sinistra. L’emergere prepotente di nuovi soggetti trasversali al consolidato confronto-scontro tra le tradizioni socialiste e liberaldemocratiche – pur nelle distinzioni note all’interno dei due schieramenti – lo convince che occorrano nuovi strumenti di analisi. O meglio, strumenti che già in realtà esistono e terreni che sono già stati dissodati nei decenni passati attraverso l’analisi del nazional-populismo latinoamericano e, in specie, del peronismo argentino. L’invito è dunque quello di rileggere criticamente in particolare i lavori del sociologo Gino Germani (1911-1979) e del filosofo postmarxista Ernesto Laclau (1935-2014).

Come si sa, semplificando, per l’antifascista Germani – culturalmente radicato in Argentina prima del rientro in Italia – il populismo peronista si distingue radicalmente dal fascismo italiano per la differenza della base sociale: la borghesia, la classe media, nel caso del movimento mussoliniano; la classe lavoratrice urbana e rurale, la “massa disponibile”, nel caso del peronismo, che peraltro è connotato da sue peculiari destra e sinistra interne. Per questo <il peronismo, per Germani, fu realmente capace di dare risposte reali alle classi popolari, le quali, per la prima volta, guadagnarono diritti e dignità, e anche un certo grado di libertà concreta, e si integrarono finalmente nella vita nazionale diventando parte costitutiva di essa> (p. 6). Questo non vuol dire – precisa l’autore – che si debba <riproporre il populismo argentino come un modello positivo per l’Europa> (p. 9).

L’obiettivo del saggio – che rielabora e supera una larga messe di studi specifici – è piuttosto <quello di spingere l’Europa e il suo pensiero politico a confrontarsi con esso, perché dietro la crisi della rappresentanza democratica in Europa, quella scissione drammatica che qui da noi si è venuta a configurare tra sistema della rappresentanza e masse eterogenee, sempre più centrali, e sempre meno omogeneizzabili e integrabili nei quadri delle comunità nazionali, vi è il fatto storico, enorme, della eterogeneità sociale, su cui la cultura politica argentina, da Germani a Laclau, appunto, per ragioni legate alla specificità della sua storia> (p. 10), è stata in qualche modo costretta a riflettere a lungo. Invito non peregrino alla luce dell’uso e abuso che in questi anni, con grande superficialità e senza esiti convincenti, si fa della categoria destoricizzata di fascismo per tentare di definire espressioni politiche “altre” di ardua modellizzazione.

da “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, n. 1, 2019 (nuova serie), a. XXXI