Presentato in Fondazione il volume di Gianni Scipione Rossi su Attilio Tamaro

Martedì 5 aprile 2022 è stato presentato, in presenza e in modalità streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube della Fondazione, il volume di Gianni Scipione Rossi, Attilio Tamaro: il diario di un italiano (1911-1949), Rubbettino, Soveria Mannelli 2021. Con l’autore ne hanno discusso Giovanni Belardelli, già professore ordinario di Storia delle dottrine politiche nella Università degli Studi di Perugia, e Giuseppe Parlato, professore ordinario di Storia contemporanea nella Unint di Roma e presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice.

L’incontro si terrà in presenza e verrà trasmesso in streaming sui canali Facebook e YouTube della Fondazione. In ottemperanza alla normativa in vigore, si ricorda che per partecipare in sala sarà obbligatorio esibire la certificazione verde rafforzata (super green pass) e indossare il dispositivo di protezione facciale Ffp2. L’accesso sarà consentito solo su prenotazione e fino al raggiungimento della capienza massima prevista (per info e prenotazioni: segreteria@fondazionespirito.it).

Il libro
Triestino di origine istriana, giornalista, storico, diplomatico, Attilio Tamaro (1884-1956) è stato uno dei massimi protagonisti dell’irredentismo giuliano. Autore prolifico di saggi storici e politici, ha lasciato inedito il suo diario privato, che si sviluppa dalla Trieste austroungarica del 1911 alla guerra vinta, attraversa il fascismo per superare la fine del regime e affacciarsi nella guerra civile e nella ricostruzione. Un grande e intenso affresco – privo di filtri – su quasi quarant’anni di storia italiana ed europea. Di cultura nazional-patriottica, monarchico, volontario nella Grande Guerra, teorico del nazionalismo, aderì al fascismo nel 1922. Contrario all’antisemitismo, fu espulso dal Pnf nel 1943, non aderì alla Rsi e da neo-irredentista tornò a difendere l’italianità di Trieste e delle terre adriatiche. Nel diario le sue analisi, i retroscena politici e gli incontri con centinaia di persone, da Giolitti a Salandra, da D’Annunzio a Mussolini, da Grandi a Federzoni, da Balbo a Bottai. E ancora, intellettuali, politici e diplomatici incrociati nel suo peregrinare tra Trieste, Roma, i Balcani, Vienna, Parigi, Londra, Fiume, Amburgo, Helsinki, Mosca, Leningrado e Berna.
Il diario è introdotto da una biografia basata sullo scandaglio di documenti e carteggi, presenti in diversi fondi archivistici. Ne emerge la complessa e tormentata personalità di un uomo di grande cultura, capace di dialogare a tutto campo. Margherita Sarfatti così gli dedica il suo Dux: «Ad Attilio Tamaro, italianissimo figlio di Trieste, nel nome di Trieste, madre della mia madre, offre con amicizia». «Ho letto – scrive Tamaro a Umberto Saba – le tre poesie con eguale piacere: mirabile mi sembra La preghiera dell’angelo custode dove l’episodio è ricordato con arte purissima ed è poi elevato a una vasta significazione. Attendo vivamente l’annunciato volume di poesia».
Tamaro è in relazione con tutti i protagonisti dell’irredentismo triestino, istriano e dalmatico, in particolare Camillo Ara, Mario Alberti, Giorgio Pitacco, Salvatore Segré Sartorio, Fulvio Suvich, Francesco Salata. Intensi i suoi rapporti con Eugenio Balzan, Camillo Castiglioni, Francesco Coppola, Mario Missiroli, Giuseppe Volpi di Misurata. Feroci le sue critiche a Galeazzo Ciano «satrapo orientale» – e a Mussolini che, dopo averlo ammirato, quando nasce la Rsi definisce «il farneticante di lassù». Nella biografia emerge anche la figura del figlio di Tamaro, Tullio, che nel 1942 entra nel Pci clandestino milanese e con Emilio Sereni rappresenterà il partito nel Cln regionale lombardo.

L’autore

 Gianni Scipione Rossi, giornalista, ha diretto l’informazione parlamentare della Rai, il Centro di formazione e la Scuola di giornalismo di Perugia, dove insegna giornalismo radiofonico. È vicepresidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice e membro del Comitato Direttivo dell’Istituto Abruzzese per la Storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea. Tra i suoi libri: L’America di Margherita Sarfatti. L’ultima illusione, 2021; Attilio Tamaro: il diario di un italiano, 2021, Cronache del virus, 2020; Lo “squalo” e le leggi razziali, 2017; Storia di Alice, 2010; Cesira e Benito, 2007; Il razzista totalitario, 2007; Mussolini e il diplomatico, 2005; La destra e gli ebrei, 2003.

Disponibile al seguente link la registrazione integrale: https://youtu.be/RBVIeoSTNXs

La biografia e il diario di Attilio Tamaro visti dalla stampa

Giornalista e agitatore: la Dalmazia e il sogno infranto di Attilio Tamaro

Lettera di Tamaro all’ammiraglio Millo

di Gianni Scipione Rossi

//Nel numero del 30 novembre 1920, Attilio Tamaro pubblica sulla rivista nazionalista “Politica” questa amara riflessione: «Perché l’organo del Fascismo, dopo aver agitato per due anni con la massima violenza la questione dalmatica, si piegò su se stesso, s’ammosciò, rinnegò la sua tesi, predicò la rassegnazione, abbandonò d’Annunzio, mentre ancora alla vigilia della firma del trattato aveva affermato che senza l’approvazione del Comandante il trattato non poteva avere alcun valore».
L’organo del Fascismo è naturalmente “Il Popolo d’Italia” diretto da Benito Mussolini. Il «trattato» è quello firmato – dopo un difficile negoziato – dal Regno d’Italia e dal Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni il 12 novembre del 1920 a Villa Spinola di San Michele di Pagana, vicino a Rapallo. Il trattato assegnò all’Italia Trieste, Gorizia, Gradisca, l’Istria, Postumia, Bisterza, Idria, Vipacco, Zara, le isole di Cherso, Lussino, Pelagosa, e Lagosta. Contestualmente fu decisa la creazione dello Stato Libero di Fiume, che prese vita nel gennaio del 1921.
Sia dalle colonne di “L’Idea Nazionale”, sia da quelle di “Politica”, Attilio Tamaro criticò duramente l’andamento delle trattative, denunciando il carattere rinunciatario del presidente del Consiglio Giovanni Giolitti e del ministro degli Esteri Carlo Sforza.

[…]

Attilio Tamaro
(Fototeca Civici Musei di Storia e Arte Trieste)

Trieste, Fiume, Zara: pagine inedite 1920-21
di Attilio Tamaro

Roma, 6 agosto 1920
I tre “vedovi di paglia”. Monicelli, Coppola, e io siamo stati all’Adriano. Era con noi anche l’editore Quattrini. Finita la rappresentazione, con Coppola sono ritornato a casa a piedi: vi siamo giunti che era più vicina la mattina che la sera, conversando con passione di politica e di storia. Coppola ha sempre una visione profonda e originale dei problemi politici. È un maestro. Abbiamo comune l’angoscia di vedere la politica estera in mano di pavidi, d’ignoranti o di un uomo quasi turpe come Sforza, sottomessa interamente alla politica interna. Abbiamo parlato molto della Russia e della Polonia. Più ancora dell’Albania, dove ieri, a Tirana, l’Italia di Vittorio Veneto si è resa a discrezione ai banditi albanesi.

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Il saggio introduttivo e gli inediti di Attilio Tamaro in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a.I, n. 2, 2019, a. XXXI, pp. 347-371.

 

La straordinaria fioritura della stampa italiana tra Istria e Dalmazia

Ezio e Luciano Giuricin, Il percorso di un’eredità. La stampa della comunità nazionale nel solco della storia dell’editoria italiana dell’Adriatico orientale, Centro di Ricerche Storiche, Rovigno (Croazia) 2017

//Un libro di storia del giornalismo documentatissimo, frutto di una grande ricerca che spazia dal Settecento quasi ai nostri giorni. Non è tuttavia una storia asettica. Non può esserlo perché riguarda un’area geopolitica che nell’arco di tempo considerato ha attraversato vicissitudini – anche umane – estremamente complesse e spesso dolorose. Nelle sue origini, la storia del giornalismo italiano nell’area giuliano-istriano-dalmata o, se si vuole adriatico-orientale, non è molto diversa da quella del resto d’Italia. Al di là delle Gazzette ufficiali i giornali nascono grazie allo sviluppo del mondo borghese. La borghesia delle professioni ma, anche e per certi versi soprattutto, la borghesia imprenditoriale. Sono i professionisti e gli imprenditori ad aver bisogno della circolazione delle notizie. Il mondo dei letterati crea i periodici culturali, non i quotidiani o i settimanali. I giornali si moltiplicano per diffondere informazioni e per sostenere ed affermare idee e interessi, anche quando nell’ultimo scorcio dell’Ottocento il perimetro comincia a comprendere anche i lavoratori subordinati e i contadini, con la stampa socialista e cattolica.

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Il testo integrale in “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. I, n. 2, 2019, nuova serie, a.XXXI, pp. 418-419.

Dall’Adriatico al Tirreno, l’approdo genovese degli esuli giuliano-dalmati

Petra Di Laghi, Da profughi ad esuli. L’esodo giuliano-dalmata fra cronaca e memoriaEdizioni Accademiche Italiane, Chisinau 2018

//Sviluppo editoriale della sua tesi di laurea magistrale in Scienze storiche presso l’Università degli Studi di Torino, l’opera prima di Petra Di Laghi è dedicata all’accoglienza dei profughi istriani, fiumani e dalmati a Genova nel periodo 1945-1955. Oltre alla padronanza della bibliografia più aggiornata in merito alla complessa vicenda del confine orientale, l’autrice ha effettuato ricerche archivistiche a Genova e presso l’Archivio Museo Storico di Fiume al quartiere giuliano-dalmata di Roma.

La prima parte del volume è dedicata alle dinamiche che condussero all’allontanamento del 90% della comunità italiana dell’Adriatico orientale: in tal senso particolare rilievo è dato allo “spaesamento”, elemento determinante nella scelta dell’esodo assieme al clima di terrore diffuso dall’apparato poliziesco del nascente regime comunista jugoslavo. È inoltre ben contestualizzato il traumatico impatto dell’attentato dinamitardo titoista di Vergarolla che, con il suo lascito di decine di morti e di feriti tra i civili, fu una componente in più nell’indirizzare la quasi totalità degli abitanti di Pola ad esercitare l’opzione per la cittadinanza italiana e quindi l’abbandono della propria città. Prima di addentrarsi nel suo case study, l’autrice delinea le dinamiche dell’esodo a seconda della località di provenienza e specifica la scelta compiuta da molti, di fronte allo squallore dei campi profughi ed alla devastata situazione dell’Italia del dopoguerra, di emigrare oltreoceano (Americhe, Sudafrica, Australia).

A dispetto di quanto si potrebbe pensare conoscendo la tradizione comunista genovese e l’ostracismo che altre piazze “rosse” dedicarono ai connazionali in fuga dal confine orientale, la Di Laghi riferisce di un contesto che non ha manifestato avversione nei confronti dei circa 6.350 esuli giunti nel capoluogo ligure (8.500 in tutta la regione, stando al censimento contenuto in Amedeo Colella, L’esodo dalle terre adriatiche. Rilevazioni statistiche, Julia, Roma 1958). Costoro, fin dai primi arrivi, trovarono la prima accoglienza presso la stazione Principe a cura della Pontificia Commissione di Assistenza Auxilium e dell’Ente Comunale di Assistenza. La graduale sistemazione dei giuliano-dalmati a Genova avvenne non solo tramite il Centro Raccolta Profughi numero 72 della limitrofa Chiavari (ex colonia marittima fascista), ma anche attraverso la forma originale degli alloggi collettivi sparsi nell’area cittadina, sfruttando piccoli appartamenti e palestre. Solamente nel 1955 verranno edificate le prime case dell’Opera per i Profughi Giuliani e Dalmatiall’interno delle quali troveranno una collocazione anche i nonni materni dell’autrice, i quali hanno conservato nell’ambito della famiglia la memoria delle proprie radici e contribuito a stimolare l’attenzione e la passione storica della nipote verso queste pagine di storia nazionale troppo a lunghe rimaste in secondo piano.

Il lavoro della giovane ricercatrice genovese si contestualizza in un filone che ultimamente ha fornito interessanti contributi riguardo lo studio dell’arrivo e della sistemazione dei 350.000 istriani, fiumani e dalmati che avevano abbandonato le terre in cui vivevano radicati da secoli. Siamo passati dagli studi pionieristici non privi di memorialistica confezionati da Lino Vivoda (Campo profughi giuliani, Caserma Ugo Botti, La Spezia, Istria Europa, Imperia 1998) a Popolo in fuga. Sicilia terra d’accoglienza di Fabio Lo Bono, dedicato all’inserimento degli esuli nel contesto diTermini Imerese e recentemente pubblicato in una seconda edizione ampliata ed arricchita di contenuti. Se l’Istituto della Resistenza di Lucca ha sostenuto le ricerche di Armando Sestaniconfluite nel testo Esuli a Lucca. I profughi istriani, fiumani e dalmati 1947-1956 (Pacini Fazzi, Lucca 2015), un crescente numero di visitatori si reca al museo allestito dall’Unione degli Istriani all’interno dell’ex campo profughi di Padriciano sul Carso triestino.

Lorenzo Salimbeni

da “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, a. 2019, n. 1, nuova serie, a. XXXI.

 

Dalle foibe all’esodo: una ferita aperta nella storia italiana

Dino Messina, Italiani due volte. Dalle foibe all’esodo: una ferita aperta nella storia italiana, Solferino, Milano 2019

Dopo decenni di colpevole oblio, accompagnato da un negazionismo strisciante, anche grazie all’istituzione del Giorno del Ricordo la bibliografia sul dramma delle foibe e sull’esodo giuliano-dalmata è ormai rilevante e attendibile, al di là della memorialistica e della letteratura. Di quegli eventi così tragici e complessi del Novecento italiano si indagano e si portano alla luce anche vicende particolari che contribuiscono a chiarire il quadro d’insieme. Un quadro che opportunamente ricostruisce Dino Messina in questo saggio, appassionato e coinvolgente senza perdere il necessario rigore storiografico. Il suo viaggio parte dal Magazzino 18, nel Porto Vecchio di Trieste, che raccoglie le masserizie degli esuli che nessuno ha reclamato: <Duemila metri cubi di storia, di memorie> (p. 9).

Il racconto si snoda poi nella ricostruzione del contesto politico e militare in cui il dramma si è sviluppato, dopo l’8 settembre del 1943, quando i partigiani comunisti di Tito avviano con le prime stragi in Istria il lungo percorso che mira a cancellare, in un modo o nell’altro, la storica presenza italiana da quelle terre di confine. Un progetto di pulizia etnica che il ministro degli esteri di Tito, Josip Smodlaka, esplicita nel settembre del 1944 su “Nuova Jugoslavia”, rivendicando all’ex Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni una regione amplissima, che avrebbe dovuto comprendere parte del Friuli, Gorizia, Monfalcone, ovviamente Trieste, l’Istria, Fiume, Cherso, Lussino, Zara, sulla base del falso principio della prevalenza demografica slava sull’elemento italiano.

Messina illustra bene, oltre agli errori compiuti dal fascismo, le tre fasi in cui si sviluppa il dramma di quegli italiani, dai primi eccidialle varie tappe dell’esodo, agli anni nei campi profughi. E, attraverso testimonianze toccanti, lo spaesamento che li coglie quando, rinascendo per la seconda volta italiani, comprendono di essere accolti con distacco, imbarazzo e sospetto, come se la loro stessa esistenza fosse una colpa. La colpa, naturalmente, di essere presunti fascisti, mentre per i programmatori delle stragi e della pulizia etnica <non importava se chi indossava la divisa non era un fascista, anzi con il rischio della vita era passato nel fronte antifascista. Per non essere considerato “nemico del popolo” bisognava aderire al progetto di società socialista e nello stesso tempo appoggiare le pretese territoriali della nuova Jugoslavia> (p. 161). Come peraltro dimostrò, nel febbraio del 1945, la strage di Porzȗs.

da “Annali della Fondazione Ugo Spirito”, n. 1, 2019 (nuova serie), a. XXXI